Il progetto transnazionale si è basato su un’analisi e sul confronto delle esperienze di giustizia riparativa e sostegno alle vittime, all’interno di 8 Stati europei (Italia, Germania, Irlanda, Romania, Spagna, Estonia, Portogallo e Paesi Bassi). L’intervento ha permesso un confronto sul tema della protezione della vittima all’interno della giustizia minorile; tra una pluralità di attori istituzionali e sociali, quali magistrati, operatori dei servizi di Giustizia Minorile, eminenti esperti nel settore della vittimologia, della sociologia e della Restorative Justice, mediatori, forze dell’ordine, esponenti di associazioni a tutela della vittima e del privato sociale.
Il progetto ha voluto portare un contributo per avviare la costruzione di un modello complessivo e articolato di servizi di assistenza e ascolto alle vittime, in grado di muoversi sinergicamente con i servizi della Giustizia Riparativa e di valorizzare il patrimonio di esperienze e competenze che le associazioni delle vittime e i differenti attori coinvolti in attività di sostegno alle vittime di reato, hanno maturato nel corso delle loro attività.
Il progetto è stato ispirato alla Direttiva 2012/29/Ue del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. A partire dai suoi esiti, l’intervento, ha portato alla proposta delle direttrici della strategia con la quale il nostro Paese potrebbe approcciare gli obiettivi di attuazione della Direttiva Europea sulle vittime.
Destinatari
Sono state destinatari del progetto gli operatori della giustizia nell’ambito delle pratiche di giustizia riparativa minorile
Contesto
La Direttiva 2012/29/Ue del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato richiama il programma di Stoccolma “Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini”, adottato dal Consiglio europeo nel dicembre del 2009.
La sicurezza è anche un costrutto sociale a cui contribuisce in maniera significativa il senso di safety individuale e sociale, ossia sull’esperienza del sentirsi sicuri e del sentirsi parte di una comunità attenta al benessere e alla tranquillità dei singoli.
L’affidamento della costruzione di comunità sicure al solo intervento delle istituzioni – ossia alle azioni di law enforcement – siano esse le forze di polizia o la magistratura, infatti, non permette di raggiungere l’obiettivo della safety, poiché lascia pur sempre tendenzialmente insoddisfatta l’esigenza di una maggiore protezione delle vittime e della collettività.
La risposta istituzionale, con i suoi meccanismi complessi di attivazione, la sua lentezza procedurale, il suo esito incerto, spesso non riesce a soddisfare il “bisogno collettivo di sicurezza” sollecitato soprattutto dalla reiterazione dei comportamenti delittuosi, sia pure non caratterizzati da una particolare gravità oggettiva.
L’Unione Europea ha individuato proprio le azioni di supporto alle vittime e la giustizia riparativa quali approcci in grado di conferire maggiore concretezza alle varie dimensioni del costrutto della safety, in quanto in grado di coniugare la volontà di promuovere il livello di equità sociale e la tutela dei soggetti deboli nonché il ripensamento degli strumenti della giustizia ordinaria.
Pur discendendo dalla stessa matrice culturale, è però possibile ravvisare ancora una notevole distanza tra i due mondi: mentre la riflessione sulla Restorative Justice, anche se con qualche affanno, ha visto succedersi vari contributi su quali siano le strategie più adeguate per migliorare l’interazione tra il reo e la vittima e per garantire un maggiore coinvolgimento della Comunità nell’ambito del procedimento riparativo, la responsabilità sociale nei confronti delle vittime di reato, invece, stenta ancora ad affermarsi. Ne deriva che le vittime vedono negarsi la propria dignità non soltanto nelle aule di Giustizia, dove tende a prevalere un approccio reo-centrico, ma anche a livello sociale, considerando la carenza di azioni concrete di sostegno a favore di chi abbia subito un reato.
Proprio l’accresciuta consapevolezza di tali problematiche ed il tentativo di sollecitare gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per risolvere il divario di attenzione esistente tra reo e vittima, hanno condotto alla Direttiva Ue sulla protezione delle vittime del 2012, che ribadisce quali punti debbano ancora trovare attuazione negli ordinamenti giuridici dei vari Stati.
Innanzitutto, si afferma il diritto delle vittime al riconoscimento sia della dignità e della rilevanza sociale del proprio dolore che di un sostegno e di una protezione da parte della società, indipendentemente dal reato che le ha viste coinvolte; in secondo luogo, si rileva il rischio che la persona che subisce il danno subisca altresì una nuova vittimizzazione proprio a causa delle procedure previste a livello codicistico (dall’incontro con le forze dell’ordine alle regole del procedimento penale, ecc.) e nell’ambito del sistema della Giustizia Riparativa.
La Direttiva, pertanto, richiede agli Stati Membri di intraprendere alcune azioni correttive in tal senso e di garantire che alle vittime sia consentito l’accesso a servizi specializzati in grado di intervenire sul fronte dell’assistenza legale, psicologica, materiale, in modo opportuno, tempestivo, e perdurante nel corso dell’intero procedimento; chiede inoltre agli Stati membri di garantire ai funzionari e più in generale agli operatori che vi entrano o potrebbero entrarvi in contatto una formazione adeguata sulle esigenze delle vittime, e sugli strumenti per trattarle in modo imparziale, rispettoso e professionale.
Infine la Direttiva incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri e il coordinamento dei servizi nazionali delle loro azioni sui diritti delle vittime e stabilisce che gli Stati membri dell’UE attuino le disposizioni della Direttiva nel diritto nazionale entro il 16 Novembre 2015.
In Italia, le spinte che giungono sia dai movimenti culturali di cittadini più sensibili, sia dai governi nazionali ed europei, invitano a dare dignità alla pena e alla detenzione; a rendere i sistemi di giustizia più amichevoli e meno brutali nei propri meccanismi di funzionamento; a dare più spazio alle forme della giustizia riparativa, e, oggi, anche a ripensare al ruolo della vittima nei procedimenti giudiziari e più in generale nella società.
Tuttavia, il cardine su cui si regge la Giustizia Minorile in Italia non è né quello di reato, né tanto meno di sanzione, ma quello di responsabilità riflessiva, secondo cui sull’assunzione di responsabilità di ogni attore fonda la possibilità degli altri di assumere la propria responsabilità.
Per chi conosce la Giustizia Minorile sa che da questo gioco di responsabilità è assente la vittima, tranne che quando la Giustizia Minorile è in grado di attivare processi di giustizia riparativa; in questo caso la vittima è chiamata anch’essa in gioco a dare il suo contributo di responsabilità: sia per consentire al minore di assumere la propria responsabilità verso la vittima, sia perché la vittima divenga responsabile del percorso del minore nel sistema di giustizia, sia, infine, perché il sistema della giustizia minorile riconosca la sua responsabilità nei confronti della vittima.
In questo passaggio si gioca il senso della progetto YO.VI: i processi di responsabilizzazione sono complessi, e talvolta faticosi, specialmente per le vittime, esponendoli al rischio di ulteriore vittimizzazione. Come fare quindi, a tener la vittima nel sistema della Giustizia Minorile, attraverso la giustizia riparativa, senza “sfruttarne” la condizione di fragilità a “vantaggio” del minore? O senza esporla ad ulteriori non necessarie sofferenze?
Non sorprende così che questo progetto sia stato promosso dalla Giustizia Minorile in Italia: forti di questo senso della giustizia che è in primis costruzione di responsabilità condivisa e rafforzamento di un legame di comunità, la Giustizia Minorile è da anni attiva nel sostenere gli uffici di mediazione penale e le esperienze di giustizia riparativa.
Ecco, quindi che le Linee guida scaturite da YO.VI, potrebbero guidare un’azione di sostegno alle vittime, a cui la Giustizia Minorile italiana vuole certamente partecipare attivamente anche attraverso gli uffici di mediazione in cui tante competenze sono state acquisite e di sviluppo di azioni di giustizia riparativa pienamente rispettose dei diritti delle vittime.
Obiettivi specifici e azioni
Il progetto ha perseguito l’obiettivo di:
- promuovere il coinvolgimento delle organizzazioni per il sostegno alle vittime, la cooperazione e lo sviluppo di partenariati tra amministrazioni pubbliche e tra pubblico e privato;
- sviluppare approcci innovativi di giustizia riparativa a sostegno e protezione delle vittime in accordo con i principi internazionali;
- creare un network multilivello e multidisciplinare per gli interessati alla materia al fine di rafforzare le iniziative a livello locale, nazionale e internazionale.
Nel perseguire gli obiettivi il progetto, ha visto la realizzazione di azioni di ricerca al livello nazionale in Estonia, Germania, Irlanda, Italia, Portogallo, Romania e Spagna, per l’analisi degli approcci, delle pratiche e delle azioni di sostegno alle vittime nelle pratiche di giustizia riparativa e nella società.
Risultati principali
Gli esiti delle indagini condotte hanno costituito il punto di partenza per successivi seminari nazionali e transnazionali, volti ad indagare i punti di forza e i punti di debolezza delle prassi adottate, per arrivare ad individuare possibili linee-guida per la protezione della vittima all’interno dei percorsi di giustizia riparativa e più in generale per lo sviluppo di approcci integrati di giustizia.
Le linee-guida europee per la partecipazione delle vittime ai procedimenti di giustizia riparativa nei sistemi della giustizia minorile, che costituiscono uno dei principali risultati finali del progetto YO.VI, sono state presentate nel corso della Conferenza Internazionale conclusiva del progetto che si è tenuta a Roma a marzo 2015.