I migranti hanno bisogno di orientamento formativo e professionale? Nei lavori del progetto CREI- Creare REti per gli Immigrati – si intercetta questa esigenza e si lavora per dare una risposta.
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Contesto di riferimento
Il secondo decennio del XXI secolo, fortemente caratterizzato dagli effetti della crisi economica geopolitica mondiale, ha rappresentato un punto di svolta nel panorama dell’immigrazione europea, segnato dal passaggio da una migrazione di tipo economico ad una migrazione forzata, di cui sono protagonisti persone in fuga da conflitti, persecuzioni politiche, minacce per la propria incolumità, carestie e disastri ambientali con un percorso migratorio lungo e particolarmente accidentato.
Così, negli ultimi anni, lo strumento che permetteva l’ingresso di quote stabilite di lavoratori immigrati nel nostro Paese, ovvero il cosiddetto Decreto Flussi, è stato fortemente depotenziato, negando -di fatto- la possibilità di ingresso per lavoro ai cosiddetti migranti economici e limitando l’accesso ai soli lavoratori stagionali o alla conversione in permessi di lavoro di permessi per altri motivi. L’ultimo Decreto Flussi, approvato con D.P.C.M. del 13 febbraio 2017 stabilisce la quota di 30.850 ingressi.
La diminuzione dell’arrivo dei migranti economici a seguito della crisi economica mondiale e delle minori opportunità di ingresso regolare nel nostro Paese, combinata con la crescita dei migranti in arrivo da aree del mondo interessate da guerre e crisi di carattere umanitario si riflette tanto sull’entità quanto sulla composizione dei flussi.
Gli ingressi per lavoro, che nel 2010 rappresentavano il 60% dei nuovi ingressi, negli ultimi sei anni sono diminuiti del 93,9%, passando da 358.870 a 21.728, e nel 2015 costituiscono il 31,1% del totale dei nuovi ingressi. Coerentemente con le caratteristiche e la tipologia dei nuovi flussi, gli unici ingressi che crescono sono quelli per asilo, richiesta d’asilo e motivi umanitari, che nel 2015 sono 67.271, vale a dire il 28,2% del totale, in crescita del 550,8% rispetto al 2010.
Come risulta anche dalle testimonianze degli operatori impegnati nell’accoglienza, si parla di una popolazione di migranti che si distingue da quella abituale non solo per i peculiari fattori di spinta (migranti forzati) ma anche per i livelli di istruzione (tendenzialmente più bassi) per l’emarginazione sociale talora sperimentata nel paese d’origine, per i traumi accumulati durante la migrazione, per l’assenza di un progetto migratorio definito.
Il sistema nazionale dell’accoglienza è continuamente sfidato da cambiamenti repentini legati all’evolvere di questo fenomeno migratorio.
Questa trasformazione e la diversa configurazione dei fattori che ne deriva hanno imposto la necessità di attrezzarsi per affrontare anche il passaggio da un’accoglienza per “migranti economici”, più orientata ad adottare misure volte a favorirne l’integrazione lavorativa, verso un’accoglienza incentrata invece sull’esigenze primarie di garantire la promozione del loro benessere psico-sociale.
La crescente presenza di rifugiati e richiedenti asilo ha aumentato l’esigenza di politiche adeguate non solo al primo soccorso dei migranti, ma anche al loro inserimento nella nostra società.
Accogliere chi proviene da una cultura e una tradizione differenti, comporta non solo provvedere alla prima accoglienza sul territorio, ma sviluppare interventi diretti a facilitare l’inclusione nella società e l’adesione ai suoi valori.
Nell’ottica di un miglioramento del sistema di accoglienza e post-accoglienza attuale, arrivando a migliorare una governace dell’immigrazione che non può non essere inevitabilmente governance dell’integrazione, l’integrazione viene interpretata come “un processo complesso che parte dalla prima accoglienza e che ha come obiettivo il raggiungimento dell’autonomia personale”.
In tal senso è tra gli obiettivi del Piano Nazionale d’Integrazione dei titolari di protezione internazionale (settembre 2017) rendere il sistema di accoglienza più orientato all’integrazione, elevando il livello dei servizi offerti nel sistema di accoglienza straordinario (CAS), iniziando subito i percorsi d’integrazione anche rafforzando le iniziative esistenti attraverso la creazione di condizioni che consentano il precoce avvio del percorso d’integrazione sin dalla prima accoglienza, in particolare includendo l’insegnamento della lingua e l’orientamento culturale sin dall’inizio, l’implementando in particolare i servizi volti all’integrazione in tutte le strutture di accoglienza , con specifica attenzione ai CAS, specialmente nei casi in cui essi svolgano il ruolo di centri di seconda accoglienza.
Dati del Ministero dell’Interno riportano che in Italia, il 72%, ovvero circa 70 mila migranti trovano sistemazione in strutture ricettive temporanee i CAS – Centri di Accoglienza Straordinaria. Il tema sul quale si vuole riflettere e al quale si vuole porre particolare attenzione riguarda non solo la necessità di garantire all’ingente mole di ospiti dei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) risposta ai diversi bisogni di cui sono portatori, ma anche rispondere attivamente ad un bisogno fortemente intercettato in queste persone in questi contesti, ovvero la necessità del cittadino straniero, di essere orientato e inserito nel contesto nel quale viene accolto, in linea con le indicazioni contenute nel Piano Nazionale d’Integrazione dei titolari di protezione internazionale.
Più in generale, merita una riflessione approfondita la necessità di dover predisporre percorsi di autonomizzazione in tal senso, che giocano un ruolo determinante anche ai fini della tutela del loro benessere psico-sociale, strutturando tra questi percorsi di orientamento formativi, rivolti ai migranti, che siano “cuciti” sul singolo profilo di ciascun ospite delle strutture.
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Come funziona attualmente l’orientamento nel sistema di accoglienza in Italia?
E’ intuibile pensare come la messa in pratica di tale obiettivo, data la complessità che il tema del bisogno di orientamento richiede, non possa ricadere esclusivamente nelle già molteplici azioni che gli operatori del terzo settore gestori dei centri sono chiamati a svolgere, necessitando dunque di gradi di competenze che inevitabilmente richiedono l’intervento di professionalità specifiche.
Diventa di fondamentale importanza dunque l’integrazione di figure professionali in grado di intervenire attivamente nella costruzione di percorsi di orientamento formativo professionale e scolastico di tali persone e quindi, indirettamente, nel loro processo di integrazione sociale e nella prevenzione di eventuali fenomeni di disagio sociale, in un’ottica in cui la promozione del benessere psico-sociale risulta essere l’obiettivo da raggiugere. Per far si che questo avvenga, l’integrazione di competenze, di saperi, l’integrazione di attori diversi diventa fondamentale. E tale integrazione di declina sia in una dimensione per così dire interna alle strutture (dotazione di strumenti, capacità e risorse umane) sia in una dimensione ed esse esterna, che riguarda il lavoro di rete con gli altri attori territoriali.
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Il ruolo del CPIA
Il progetto CREI – Creare Reti per gli Immigrati, di cui l’IPRS è partner ha intercettato questa esigenza, individuando nell’orientamento formativo scolastico e professionale uno degli assi di interesse del progetto stesso, insieme a quelli della tutela e dell’integrazione sociale. L’obiettivo del progetto è quello di realizzare un’azione di capacity building, volta a potenziare le capacità di intervento del sistema di attori, pubblici o privati, che sul territorio del Municipio XIV lavorano per la presa in carico di minori e giovani stranieri cittadini di Paesi extra UE, relativamente ai tre temi.
All’interno del progetto CREI si sta riflettendo su come, sul territorio, si possa rispondere adeguatamente a queste necessità, ponendo al centro di queste riflessioni il CPIA3 di Roma, partner nel progetto stesso e attore territoriale che per mandato istituzionale è incaricato di rispondere a questo bisogno, avviando una sperimentazione su questo tema, che veda nel CPIA l’attore centrale per le strategie di orientamento scolastico formativo e professionale di minori e giovani stranieri presenti nei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS).
Il regolamento (DPR 263/12) e le Linee Guida (DI 12/03/2015) hanno investito i CPIA come struttura pubblica di riferimento incaricata anche per quanto riguarda l’integrazione scolastica dei giovani adolescenti e adulti stranieri.
I CPIA ricoprono un ruolo fondamentale nelle politiche di immigrazione, laddove il certificato di conoscenza della lingua italiana di livello A2 conferito in esito ai percorsi di formazione linguistica, ha validità ai fini del rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
Attualmente in Italia, i CPIA oltre ad erogare specifici corsi di lingua italiana, rilascio del diploma di Terza Media, propongono percorsi che vanno dall’alfabetizzazione fino all’inserimento lavorativo, intercettando inevitabilmente in questo percorso i bisogni degli utenti relativamente all’ orientamento formativo, scolastico e professionale a cui sono chiamati a dare risposta, ma trovandosi, al momento, in assenza di una strumentazione mirata in tal senso.
I CPIA hanno dunque oggi una grande responsabilità, ma rappresentano anche una grande opportunità, perché possono diventare gli snodi di un sistema di apprendimento permanente sul territorio: sono infatti l’unica istituzione presente capillarmente in tutto il Paese. Ciò li rende soggetti privilegiati dei CAS con i quali sarebbe funzionale che venissero realizzati accordi formali, finalizzati a garantire si adeguati livelli di istruzione e competenze linguistiche ai migranti afferenti alle strutture di accoglienza, ma non solo.
Il tutto nella prospettiva di far sì che, sempre di più, le strutture di accoglienza interagiscano positivamente ed in sinergia col loro interlocutore privilegiato, per tutto ciò che concerne l’integrazione linguistica e l’orientamento dei loro ospiti.
Ed il loro interlocutore privilegiato va senz’altro e “naturalmente” individuato e riconosciuto nel CPIA, proprio in quanto attore deputato a realizzare gli interventi territoriale in tal senso.
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La sperimentazione del Progetto CREI
Ed è alla luce di queste nuove necessità che all’interno del Progetto CREI “l’asse orientamento”, gestito e condotto dal gruppo di esperti dell’Università degli Studi Roma Tre, ha come obiettivo quello di sviluppare, con gli attori operanti nel territorio del XIV Municipio di Roma coinvolti nei processi di presa in carico dei giovani e minori stranieri, un modello di orientamento formativo e individualizzato, investendo il CPIA3 come l’attore che, per mandato e competenze specifiche, è in grado di erogare e proporre tale modello sul territorio.
In un’ottica in cui l’orientamento è inteso come «…il processo volto a facilitare la conoscenza di sé, del contesto formativo, occupazionale, sociale, culturale ed economico di riferimento, delle strategie messe in atto per relazionarsi e interagire con tali realtà, al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze necessarie per poter definire o ridefinire obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare o rielaborare autonomamente un progetto di vita e sostenere le scelte relative», l’orientamento si trasforma nei suoi assunti di fondo.
La funzione informativa tradizionale pur rimanendo primaria e ineliminabile ne esce ridimensionata nel senso che da sola non è più sufficiente. L’orientamento si configura come mezzo per aiutare le persone a diventare autonome e imprenditrici di se stesse e in tal senso assume valenze prima sconosciute:
- valenza proattiva, ovvero, capace di generare cambiamenti nelle persone e attraverso queste nel mercato del lavoro;
- valenza di empowerment, rafforzamento del soggetto in termini di costruzione del sé professionale e delle strategie di coping, di maggiore consapevolezza di sé e di senso di autoefficacia.
La sperimentazione di questo modello nasce dunque con l’obiettivo di sottolineare l’importanza di riflettere sulle reali esigenze dei minori e giovani stranieri implementando idonei strumenti per la rilevazione dei bisogni, della prospettiva temporale e l’orientamento al futuro di questi ragazzi, strumenti in grado dunque di monitorare e promuovere non solo la dimensione cognitiva, ma anche le dimensioni metacognitive e affettivo-motivazionali. Tali strumenti permetteranno di accompagnare i minori e giovani stranieri nella costruzione di un orizzonte di vita attraverso la determinazione di un percorso formativo individualizzato che sia appunto centrato sul soggetto, superando la rigidità e la formalità dei modelli e delle impostazioni esistenti sul tema.
Gli obiettivi principali di questi strumenti saranno dunque quelli di rilevare i bisogni individuali dei giovani stranieri, identificare e valutare conoscenze, abilità e competenze, certificandole dove possibile, attraverso un’analisi e autoanalisi delle competenze maturate in determinati contesti e periodi di vita della persona ed analizzare le dimensioni individuali messe in atto laddove il giovane si trovi di fronte ad una scelta (motivazioni, interessi, valori, autoefficacia, coping, strategie decisionali, etc), fondamentali per la costruzione di un progetto formativo individualizzato.
La valutazione e certificazione della lingua così come delle competenze di base permetteranno senza dubbio di strutturare un bagaglio del quale il ragazzo è portatore utile per quanto riguarda l’individuazione di possibilità lavorative e l’ingresso nel mondo del lavoro ma per intervenire efficacemente nella costruzione o ri-costruzione di un percorso migratorio della persona, come primo e fondamentale passaggio occorre lavorare nell’indagare in profondità le motivazioni, gli interessi, i valori che spingono la persona ad essere parte attiva nella costruzione del proprio percorso. Tali dimensioni crediamo risultino essere gli elementi centrali nelle fasi iniziali di strutturazione di un percorso di orientamento.che è possibile far emergere attraverso la conduzione di un colloquio semi strutturato, il quale deve risultare essere il più empatico e meno selettivo possibile.
Il colloquio semi-strutturato che si vuole andare a strutturare, costituirà un “reattivo psicologico” in grado di mettere i soggetti nelle condizioni di esprimersi liberamente e avrà come obiettivo quello di cogliere aspetti fondamentali dell’esperienza di vita della persona, entrando in profondità sia relativamente al contesto nel quale la persona è vissuta prima di lasciare il proprio Paese, sia rispetto al viaggio affrontato che, e non meno importante, rispetto alla permanenza all’interno della struttura di accoglienza, tenendo in considerazione l’unico elemento che accomuna tale tipologia di utenza, ovvero l’esperienza migratoria. Molto probabilmente infatti ci si troverà di fronte a molteplici differenze rispetto all’età e Paese provenienza, differenze culturali, differenze rispetto al livello di istruzione, differenze socio-economiche. E’ dunque dal progetto migratorio che bisogna partire per impostare il percorso formativo individualizzato e per andare ad indagare quelle dimensioni che entrano in gioco nella rappresentazione che l’individuo ha di se stesso, del proprio contesto di riferimento e delle strategie che mette in atto per analizzare e relazionarsi con tali realtà contestuali, come il coping, il senso di autoefficacia, i bisogni, i valori, gli stili decisionali che, in quanto variabili di confine tra il sé e il mondo esterno, acquisiscono una forte rilevanza strategica nell’orientamento e nei processi decisionali nella misura in cui si pongono come variabili significative di conoscenza di sé e degli altri.
Come già sottolineato, il modello che si vuole andar a sperimentare, intende avere l’ambizioso obiettivo di intervenire nel rafforzare in tal senso le professionalità all’interno del CPIA, dotandole di strumenti, metodologie e approccio rivisitati nel costruire un percorso di orientamento per i minori e giovani stranieri che consenta loro di ripensare se stessi, maturare e sviluppare le competenze necessarie per poter definire o ridefinire obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare o rielaborare autonomamente un progetto di vita e sostenere le scelte relative.
Tale prospettiva, per il ruolo istituzionale che, come ricordato, il CPIA ricopre, crediamo possa essere realizzabile attraverso l’attivazione di una presa in carico che sia complessiva, rispondendo si al bisogno di formazione linguistica ma che parallelamente intercetti e soddisfi il bisogno del cittadino straniero di essere orientato e inserito nel contesto nel quale viene accolto.