Quando gli arrivi di minori stranieri non accompagnati in Italia cominciarono a divenire rilevanti, nel 2000, il primo e più significativo passaggio che ha consentito di garantire loro accoglienza e protezione è stato quello che ne ha riconosciuto l’assimilabilità ai minori italiani in stato di abbandono, e per tale ragione ha esteso ai minori straneri tutti gli strumenti di tutela previsti per gli italiani.
Questo ha comportato il riconoscimento della responsabilità in capo agli Enti Locali, che hanno dovuto nel tempo garantire accoglienza e programmi di integrazione a questi minori.
Portatore di veri e propri diritti soggettivi, il minore, sia esso italiano o straniero, qualora manchino figure idonee che promuovano o garantiscano i suoi diritti, è fatto oggetto di protezione da parte dello Stato, il cui intervento può prendere la forma di un’azione amministrativa o giudiziaria. In campo amministrativo, alcuni dispositivi di legge e un parere del Consiglio di Stato (il 2938/1995), hanno ribadito la competenza degli enti locali nell’erogazione dei servizi di assistenza sociale a favore dei minori, sia italiani sia stranieri. L’Ente locale viene ad occupare pertanto un ruolo strategico che lo pone al centro del percorso di presa in carico. Nel settore dell’intervento giudiziario di carattere civile, a favore dei minori stranieri, il nostro ordinamento prevede tutta una serie di istituti regolamentati prevalentemente dal codice civile e dalla legge 184/1983.
A ulteriore integrazione del sistema di tutela furono previste una serie di norme, quali la non espellibilità (art. 19, 2 comma, lettera a, T. Unico Immigrazione), la concessione di uno specifico permesso di soggiorno – il permesso per minore età – l’istituto del rimpatrio assistito e l’istituzione del Comitato Minori Stranieri come organo interministeriale di garanzia e controllo. In questa fase, che durò più meno sino al 2004, l’apertura della tutela, da parte del Giudice Tutelare, era prassi occasionale, come indicato anche nel “Regolamento concernente i compiti del Comitato per i Minori Stranieri, all’articolo 3, comma 6, del DPCM 535/1999 (“In caso di necessità, il Comitato comunica la situazione del minore al giudice tutelare competente, per l’eventuale nomina di un tutore provvisorio).
Con il passare degli anni, e sotto l’impulso della magistratura minorile, è sempre più alto il numero di minori per i quali viene aperta una tutela da parte del Giudice Tutelare, nonostante le posizioni in merito all’apertura della stessa non siano così nettamente definite.
Con il crescere delle tutele attribuite agli Enti Locali, si inizia a parlare della necessità di individuare soggetti che possano esercitare la funzione tutoria, con sperimentazioni di tutori volontari, in particolare in Veneto, Emilia Romagna, e Sicilia. Queste sperimentazioni aprono un dibattito su chi debba essere il tutore ma meno sulle funzioni che egli deve svolgere.
Durante tutto il decennio, il numero dei minori presi in carico dagli Enti Locali è cresciuto enormemente sino a rappresentare una voce di spesa talvolta insostenibile per le amministrazioni. La massiccia presenza, in alcuni contesti più che in altri, di minori stranieri non accompagnati ha tuttavia rischiato in molti casi di compromettere alcune fasi del processo di presa in carico, anche in considerazione delle caratteristiche strutturali dei diversi territori, in termini di: presenza e attività dei servizi sociali, ruolo e funzionamento delle strutture di accoglienza, capacità di interazione delle diverse autorità impegnate con i minori, e minori stranieri in particolare (dalle forze dell’ordine, alle autorità giudiziarie minorili, come il Tribunale dei minori, ai servizi della Giustizia minorile); tempi di realizzazione delle indagini familiari. In questo senso, la garanzia di un approccio organico e, allo stesso tempo, di una risposta appropriata ai bisogni del minore, sfida alla quale è chiamato a l’Ente Locale in qualità di responsabile primario dell’accoglienza del minore non accompagnato, ha con forza acceso il dibattito sulla tutela e sulle esigenze di vedere incrementate le azioni di rappresentanza, sostegno e monitoraggio sulle condizioni di tali minori. In particolare, in molti casi questo numero elevato di minori in carico all’Ente Locale ha reso difficile realizzare piani socio-educativi mirati, esercitare la funzione di tutela attribuita in molti casi al responsabile della comunità e da questi delegata agi operatori, riducendosi questa a una pura funzione formale.
Negli ultimi anni, si realizzano infine ulteriori cambiamenti di scenario: aumenta il flusso di minori richiedenti asilo; il Comitato Minori Stranieri perde rilevanza e competenza fino a che, con l’art. 12, comma 20, del Decreto legge n. 95/2012, convertito con modificazioni nella L. n. 135/2012, viene soppresso e le sue funzioni passano in capo alla Direzione Generale dell’Immigrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; molti soggetti sollecitano un ripensamento della tutela, ormai divenuta prassi costante e prevista da tutte le linee guida prodotte sull’accoglienza dei minori non accompagnati.
Alcune questioni preliminari sulla tutela
Le diverse competenze messe in atto nei confronti dei minori non accompagnati hanno generato una serie di sovrapposizioni tra i diversi organi preposti alla presa in carico di tali minori, lasciando aperte alcune questioni anche particolarmente rilevanti.
Tra queste quella della tutela, la quale si configura come uno degli aspetti ampiamente dibattuti, che ha visto, in sintesi, da una parte la posizione di chi guarda al minore non accompagnato come a un minore che “per definizione” è in stato di abbandono e, dunque, considera la tutela un passaggio indispensabile e necessario a garantire al minore la presenza di una figura di riferimento per lui legalmente responsabile, dal momento che i genitori legittimi o naturali non sono in condizione di poter esercitare la patria potestà; dall’altra, la posizione di chi, sostenendo che quella del minore straniero non accompagnato non è necessariamente una figura di minore che versa in stato di abbandono, considera la tutela un provvedimento secondario o comunque accessorio, che deve essere attivato solo in determinati momenti, anche in virtù del fatto che gli strumenti legislativi esistenti sono già tali da garantire l’interesse del minore.
La prima posizione fonda i propri presupposti sulle seguenti considerazioni:
1) Il minore non accompagnato dai genitori (anche se accompagnato da parenti entro il quarto grado) si trova nella situazione prevista dal Codice Civile, art. 343 per l’apertura della tutela (“Se entrambi i genitori sono morti o per altre cause non possono esercitare la potestà dei genitori, si apre la tutela […]”), poiché tra le cause di impossibilità ad esercitare la potestà genitoriale può essere ricompresa anche la stabile lontananza.
2) Nei confronti del minore, che si trova in Italia privo di rappresentanza, deve essere aperta una tutela, affinché un tutore lo rappresenti in tutti gli atti civili e abbia cura della sua persona. Attribuire una rappresentanza tutoria ad un minore straniero, che si trovi in Italia da solo, è importante sia perché possano essere fatti valere i suoi diritti (allo studio, alla salute, all’educazione, ad una casa dove poter abitare, ad una crescita equilibrata ecc.), sia per la sua assistenza ove commetta un reato, sia specificatamente perché il tutore possa rappresentare l’interesse del minore nelle procedure amministrative o giudiziarie che deve portare ad una decisione circa la permanenza in Italia o il rimpatrio per il ricongiungimento alla famiglia.
3) La Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea 26.6.97 stabilisce all’art. 3, co. 4 che: “Ai fini dell’applicazione della presente risoluzione gli Stati membri dovrebbero aver cura di fornire il più rapidamente possibile ai minori la necessaria rappresentanza tramite: a) una tutela legale, o b) un organismo (nazionale) incaricato della cura e del benessere dei minori, o c) altra forma adeguata di rappresentanza.”
A sostenere principalmente queste posizioni è Giancristoforo Turri, Procuratore per i minorenni a Trento, il quale in prima istanza ritiene che la lontananza rappresenti una condizione di impossibilità di esercizio della potestà da parte dei genitori. La questione, che è stata anche oggetto di numerose pronunce della giurisprudenza, viene affrontata da Turri evidenziando come la fattispecie del minore straniero che si trovi in Italia da solo costituisca una delle precise ipotesi (la stabile lontananza dei genitori) in cui deve essere aperta una tutela; e come la nomina di un tutore garantisca al minore di avere assistenza e di vedere rappresentato il proprio interesse nel corso delle procedure amministrative che porteranno o al suo rimpatrio o all’accoglienza nel nostro paese.
In seconda istanza, Turri sostiene che neanche l’assenza di una fissa dimora, che renderebbe ardua l’individuazione del giudice competente all’apertura della tutela, posto che l’art. 343 lo individua in base al luogo in cui il minore ha la sede principale dei propri affari e interessi, possa costituire una causa ostativa all’apertura di una tutela. Inoltre, Turri riconosce l’importanza dell’istituto della tutela anche per quei minori che di fatto e ex legge (art. 9 L.184/1983 e successive modifiche) vengono affidati a parenti entro il quarto grado, lasciando presagire l’importanza di distinguere l’affidatario dal tutore, figure che assolvono, in realtà, a funzioni diverse. Infine, vi sono secondo Turri aspetti più specifici che rendono utile la tutela per il minore non accompagnato. Ad esempio, quello che riguarda il conseguimento del permesso di soggiorno alla maggiore età. E’ noto che l’art. 32, Testo unico 286/1998 e successive modifiche legittima a tale conseguimento, fra gli altri, coloro che durante la minore età erano sottoposi a tutela.
Insomma, conclude il magistrato, sul piano sociale, umano e culturale, la tutela offre al minore straniero, che si trova in una condizione difficile, la presenza vicina e solidale di un adulto, che si prende cura di lui (così si esprime il codice civile: art. 357).
La seconda posizione trova le sue ragioni nel fatto che:
1) La stabile lontananza dei genitori non comporta necessariamente l’impossibilità di esercitare la potestà, presupposto per l’applicazione dell’art. 343 Codice Civile. Come nel caso dei minori che vengono inviati a studiare in un altro Paese, nei confronti dei quali non viene meno la potestà genitoriale, così i minori non accompagnati – ed è questa la posizione di chi sostiene, come Giuseppe Magno, ex Consigliere della Corte Suprema di Cassazione, che la tutela non rappresenti un istituto di “elezione” per il minore non accompagnato – a maggior ragione quelli che provengono da Paesi limitrofi, arrivano con il consenso della famiglia e con questa continuano a mantenere un legame stabile.
2) Le funzioni di cura e assistenza sono in realtà svolte dal servizio sociale del comune presso il quale il minore risiede, con il concorso degli operatori delle strutture di accoglienza. La figura del tutore sarebbe a questo punto ridondante, non essendo poi chiare quali ulteriori funzioni dovrebbe assumere (vigilanza, controllo, supervisione?) e di quali specifiche competenze disporre all’interno di un meccanismo comunque deputato alla cura e al conseguimento dell’interesse del minore, così come stabilito dalla normativa.
3) La famiglia ancorché assente continua a essere presente sebbene a distanza non solo perché per il minore, nel tentativo di assolvere al mandato famigliare (il conseguimento di un lavoro), per il quale sono state investite dalla stessa famiglia cifre elevate, essa rappresenta il terminus a quo e il terminus ad quem tra i quali prende forma e si sostanzia la sua esperienza migratoria, ma anche perché oggi la tecnologia permette al minore di comunicare costantemente con essa e pertanto all’operatore di coinvolgerla in scelte che interessano la vita e il percorso di inserimento del minore.
4) Anche nel Regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 3, co. 6 si prevedeva la segnalazione al Giudice Tutelare per l’apertura di una tutela non in via generale ma “in caso di necessità” e solo come ipotesi eventuale: “In caso di necessità, il Comitato comunica la situazione del minore al giudice tutelare competente, per l’eventuale nomina di un tutore provvisorio”. La disposizione del Comitato faceva riferimento al fatto che il provvedimento di tutela fosse da considerare come provvedimento urgente, quale ad esempio, un trattamento sanitario che richiedeva l’autorizzazione di un tutore, responsabile legalmente per il minore, o un procedimento giudiziario o amministrativo che richiedeva la nomina di un curatore speciale ad acta.
Chi deve esercitare oggi la tutela? E a quale fine ?
Il tema della tutela, di quale profilo sia più adeguato per il tutore e, dunque, dell’individuazione degli ambiti relativi di intervento non può prescindere, tuttavia, da una necessaria contestualizzazione: ciò significa inquadrare la figura del tutore all’interno di uno scenario evolutivo sulla migrazione dei minori non accompagnati che ha visto, nei tempi più recenti, intervenire cambiamenti principalmente riguardanti due aspetti, intimamente connessi tra loro.
Il primo relativo ai flussi, il secondo all’amministrazione del fenomeno. Infatti, possiamo dire che se fino a pochi anni fa, l’Italia si differenziava dagli altri paesi europei in quanto risultava scarsa la presenza dei minori richiedenti asilo – invece rilevante in alcuni altri Stati dell’Unione Europea – a fronte di una prevalente presenza di minori cosiddetti migranti economici, a seguito dei numerosi e massicci sbarchi degli ultimi anni, si registra l’aumento nel numero di minori richiedenti asilo, soprattutto dovuto alle mutate condizioni geopolitiche di molti paesi nord africani (Egitto) e del Medio Oriente, come la Siria e l’Iraq. Sinteticamente:
– fino al 2006 si osserva una preponderanza di 3 cittadinanze: Marocco, Albania, Romania;
– nel 2007, Romania entra nell’Unione europea.
– fino al 2011, incremento minori con altre cittadinanze: Egitto, Afghanistan, Tunisia (es. primavera araba)
– nel biennio 2014-2015, la conferma di una presenza preponderante di minori egiziani.
Sotto il secondo aspetto, il cambiamento nella gestione del fenomeno dei minori stranieri non accompagnati ha condotto ad un sistema di doppia governance che vede da una parte gli enti locali impegnati nell’accoglienza, dall’altra la gestione dei fondi affidata al Ministero dell’Interno (Decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, di attuazione della direttiva 2013/33/UE, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale).
E’ evidente che tali mutamenti che hanno riguardato il fenomeno dei non accompagnati hanno, in un certo senso, riaperto il dibattito sulla tutela e, in particolare, sulla necessità di vedere declinata in maniera più puntuale la figura del tutore relativamente a:
– Profilo: la persona che si rende disponibile a essere nominata tutore deve risultare idonea al ruolo che è chiamata a svolgere proprio a partire dalla considerazione che l’esercizio della tutela deve essere sostanziale e non formale.
– Competenze: gli ambiti di competenze del tutore devono essere coerenti con il profilo.
– Retribuzione: tale questione, come si può intuire, accentua, ovvero è profondamente connessa ai temi relativi alla formazione, competenze e responsabilità del tutore.
Quale tutela, oggi ?
In sintesi, possiamo tracciare uno scenario sintetico che accompagni le riflessioni sulla necessità di un ripensamento dell’istituto della tutela:
a) La presenza di soggetti già investiti di un ruolo e di una responsabilità molto precisa e primaria nella presa in carico o nel rapporto di cura e di protezione del minore, ovvero i servizi sociali che hanno in carico il minore e la comunità di accoglienza, i quali sono chiamati propriamente a svolgere le funzioni di prossimità, ascolto, e responsabilità genitoriale, garantite dalla multidisciplinarietà del team presente al loro interno (psicologi, educatori, assistenti sociali etc.), rendono ridondante un’ulteriore figura nominata dal Giudice Tutelare in qualità di tutore (è la seconda delle due posizioni illustrate nel riquadro sopra riportato a proposito del dibattito sulla tutela). Come nella prima fase del fenomeno dei minori non accompagnati, il tutore nominato dal giudice tutelare sarebbe pertanto figura da attivate soltanto in casi eccezionali.
b) La responsabilità genitoriale deve essere incardinata in una figura aggiuntiva perché si manifesta una condizione d’abbandono, sebbene momentanea e particolare, in quanto spesso i genitori, sebbene non fisicamente, sono presenti, e talvolta esiste un nucleo famigliare di riferimento, e comunque un’impossibilità a esercitare da parte loro la responsabilità genitoriale (è questa la prima delle due posizioni illustrate nel riquadro sopra riportato a proposito del dibattito sulla tutela). Secondo i suoi sostenitori, la nomina del tutore rappresenta un passaggio fondamentale che tutela ulteriormente il minore, in considerazione della terzietà di questa figura rispetto ai servizi sociali e agli operatori delle strutture di accoglienza, e che conferisce allo stesso rappresentanza giuridica. Questa persona, in linea con l’articolo del codice civile relativo alla nomina del tutore (che indica in via preferenziale una figura da individuare tra i familiari o tra figure prossime al minore), dovrebbe stabilire una relazione emozionale e affettiva con il minore e accompagnarlo nella quotidianità. Così inteso, il tutore, il cui impegno si immagina gravoso sia emotivamente che come impegno temporale (sollevando così l’ipotesi di un compenso), viene tuttavia a costituire una sorta di “doppione” rispetto all’esercizio della responsabilità genitoriale attribuita comunque ai servizi sociali e alla comunità.
c) La terza posizione si inquadra all’interno di una necessità giuridica, ovvero la presenza di una figura che si impegna a vigilare in senso ampio e a verificare l’azione di tutti gli attori che interagiscono con il minore (Enti Locali, comunità, amministrazioni) e a intervenire su problemi specifici, come ad esempio quelli di natura giudiziaria (il coinvolgimento del minore in un processo penale) o sanitaria (un’operazione), da ciò la preferenza per un profilo giuridico. La questione che si pone in questo caso è quella relativa alla capacità di interlocuzione di questa figura e su cosa potrebbe radicarsi l’efficacia della sua azione. Insomma, pur trattandosi di una sorta di garante, sussisterebbe comunque un problema di potere (su che si fonda, chi lo attiva, quando si attiva, su quale campo di azione si esercita).