"La dispersione scolastica nei territori di mafia.
I numeri, i contesti, i ragazzi"
Ancora oggi permane un legame molto profondo tra povertà, disuguaglianze sociali e disparità di accesso all’istruzione – www.dromorivista.it
I recenti dati pubblicati dall’Osservatorio di Openpolis e Con i Bambini[1] in tema di povertà educativa minorile e dispersione scolastica, confermati anche dall’Atlante di Save The Children[2], mostrano che l’Italia è ancora oggi tra i primi paesi dell’Unione Europea in materia di abbandono scolastico. Sono aumentati gli early school leavers (ragazzi tra i 18 e i 24 anni che non studiano e non hanno concluso il ciclo d’istruzione), la cui percentuale cresce al 13,1% (contro il 9,9% di media europea), così come i NEET (giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in alcun percorso di formazione), che raggiungono la quota del 23,3% (media europea 13,7%).
Tali numeri mettono in evidenza come, sebbene l’obiettivo posto dall’Unione europea di ridurre la quota di giovani che abbandonano prematuramente gli studi al di sotto del 10% entro il 2020 sia stato raggiunto, si sia ancora lontani dai più alti standard europei (alcuni esempi: 8% in Francia, 10% della Germania, 7% dei Paesi Bassi). È necessario evidenziare inoltre che tali dati rappresentano una media nazionale che non restituisce gli ampi divari che caratterizzano il territorio italiano. Il nostro paese, infatti, si connota per la presenza di profondi squilibri socio-economici che si registrano tra le regioni del sud e quelle del centro-nord, di cui il fenomeno della dispersione scolastica può essere considerato come una sorta di cartina tornasole.
Ancora oggi permane un legame molto profondo tra povertà, disuguaglianze sociali e disparità di accesso all’istruzione. Nascere in una famiglia con meno risorse, sia economiche che culturali, spesso comporta una maggiore difficoltà ad accedere alle opportunità educative e sociali rispetto agli altri ragazzi – un quadro reso ancor più drammatico dalle conseguenze della pandemia.
Le ricerche sul tema danno pienamente conto degli effetti della crisi economica seguita all’emergenza Covid-19, che ha colpito in maniera preponderante proprio la popolazione meno istruita, confermando e accelerando un processo già in corso da alcuni anni[3]. In base ai dati delle prove Invalsi 2021 e dei trend analizzati negli ultimi anni, sembra emergere chiaramente quanto la chiusura delle scuole e gli effetti più ampi della pandemia abbiano influito sull’aumento della percentuale di adolescenti che abbandonano prematuramente gli studi, soprattutto nel Meridione.
Oggi la Sicilia presenta un tasso di abbandono scolastico pari al 19,4%, cui fanno seguito la Campania (17,3%) e la Calabria (16,6%), regioni che si collocano pertanto ben al di sopra della media nazionale (basti pensare che Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Molise, Emilia-Romagna e Marche si trovano al di sotto dell’obiettivo Ue del 10%).
Nelle stesse regioni, le percentuali di minori che versano in condizioni di povertà relativa sono molto più alte (Campania 34,4%, Calabria 32,7%, Sicilia 28,5%) rispetto a quelle delle regioni settentrionali, che non superano il 16%.
Si tratta, come noto, di territori in cui i fenomeni di povertà educativa, come l’abbandono scolastico, si intersecano in molti casi con traiettorie di devianza connesse al radicamento storico della criminalità organizzata, che recluta soprattutto i più giovani come bassa manovalanza per la gestione di attività illegali, in primis lo spaccio di sostanze stupefacenti, facendo leva sulla fragilità, se non quando l’assenza, della comunità educante. Anche in questo caso sono i numeri a parlare: nel 2019 la quota di denunce per associazione a delinquere (anche di tipo mafioso) a carico di minorenni nelle tre regioni era la più elevata del Paese (0,85% in Calabria, 0,96% in Sicilia e 1,04% in Campania)[4].
Questi dati delineano un quadro particolarmente allarmante, che il PON-Legalità “Liberi di scegliere”[5] ha avuto modo di osservare da vicino attraverso le storie di vita degli oltre 80 ragazzi beneficiari del progetto, tutti provenienti da contesti socio-familiari prossimi ai circuiti della criminalità organizzata in Campania, Calabria e Sicilia.
Si tratta di minorenni e giovani adulti in carico ai Servizi della Giustizia minorile in misura penale o civile, i cui percorsi restituiscono in maniera drammatica la profonda correlazione tra povertà, abbandono scolastico e invischiamento nella criminalità organizzata. In molti casi, abitano in contesti di vita marginali e privi di servizi e risorse, dove le mafie esercitano un controllo pervasivo e si pongono quale unica alternativa; provengono da famiglie che spesso versano in situazioni di fragilità socio-economiche estreme, o che comunque risultano compromesse perché invischiate a vari livelli nelle logiche della criminalità organizzata; non sono stati sostenuti e accompagnati nella definizione di un percorso di vita a partire dalle proprie scelte e aspirazioni. Non sorprende, dunque, che questi ragazzi non considerino la scuola come un’opportunità di emancipazione dalle spesso anguste prospettive del territorio – convinzione che pare essere molto forte anche nelle figure adulte di riferimento (dai genitori, ai nonni e ad altri parenti), confermando una sorta di eredità inevitabile che si trascina di generazione in generazione e che colpisce le famiglie e i territori più fragili.
Prima dell’ingresso nel Sistema della Giustizia minorile, l’80% dei ragazzi in carico al PON aveva come titolo di studio la licenza media – conseguita, in molti casi, con grande fatica e all’indomani di plurime bocciature – e mostrano tendenzialmente una scarsa motivazione a continuare il percorso scolastico o formativo sia durante che, soprattutto, una volta usciti dal circuito penale. Per i pochi che decidono di proseguire gli studi, la scelta ricade per lo più su indirizzi professionali che, secondo i ragazzi, permettono di accedere al mondo del lavoro in tempi più rapidi. Allo stesso modo, in molti casi la scelta dell’indirizzo scolastico è legata alla prossimità territoriale piuttosto che a una preferenza coerente con i loro interessi e bisogni. Una scelta in molti casi obbligata, soprattutto per coloro che abitano nelle zone interne e lontane dalle città maggiori, dove l’assenza di un’offerta scolastica superiore completa (ovvero quando nel comune si trovano almeno un liceo, un istituto tecnico e un istituto professionale) condiziona necessariamente la scelta stessa. Le lunghe distanze da percorrere per raggiungere la scuola più vicina possono, infatti, costituire già di per sé un incentivo verso un indirizzo piuttosto che un altro; un fattore che allo svantaggio sociale ne aggiunge anche uno di natura territoriale.
D’altra parte, in questi luoghi le istituzioni scolastiche sperimentano in modo particolare la difficoltà di rispondere alle sfide complesse che questi giovani presentano, dovendo al contempo sostenere la fatica di assolvere alla propria funzione in assenza di un dialogo significativo che riesca a declinarsi in un’alleanza educativa con gli altri attori che compongono la comunità educante (dalla famiglia, ai servizi socio-sanitari del territorio, alle agenzie per la formazione, l’orientamento e il lavoro). Nelle scuole permane, peraltro, un paradigma selettivo piuttosto che inclusivo, che non permette a questi ragazzi di superare il divario di partenza che mostrano rispetto ai loro coetanei, generando necessariamente effetti negativi in termini di motivazione e autostima e contribuendo a rafforzare processi di disimpegno che troppo spesso esitano nell’abbandono scolastico.
Il convergere di tali criticità contribuisce alla definizione di traiettorie di vita che tenderanno ad amplificare la distanza tra questi giovani e i loro coetanei e a ridurre sempre di più le possibilità di recupero, rafforzando la convinzione secondo cui il loro destino è, in qualche modo, già segnato. E la scuola stessa, a causa della scarsa attrattiva che esercita, rischia di rafforzare ulteriormente questa convinzione. L’abbandono scolastico prima del tempo è, pertanto, l’emblema di un diritto alla scelta che è stato compromesso.
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Note:
[1]: https://www.openpolis.it/perche-sullabbandono-scolastico-resta-ancora-molto-da-fare/
[2]: https://www.savethechildren.it/blog-notizie/XII-atlante-infanzia-disuguaglianze-e-poverta-in-aumento
[3]: https://www.openpolis.it/nella-pandemia-si-conferma-il-legame-tra-poverta-e-bassa-istruzione/
[4]: FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat “delitti denunciati all’autorità giudiziaria dalle forze di polizia”, ultimo aggiornamento: giovedì 11 Marzo 2021 (https://www.openpolis.it/esercizi/criminalita-e-minori-tra-autori-e-vittime/).
[5]: Il progetto “Liberi di scegliere”, avviato in data 30 settembre 2019, si colloca all’interno del quadro definito dal PON Legalità 2014-2020 (Asse IV – Favorire l’inclusione sociale e la diffusione della legalità), con particolare riferimento all’azione “Inclusione sociale e lavorativa per soggetti a rischio di devianza” e alla sotto-azione 4.1.2 “percorsi di inclusione sociale e lavorativa per particolari soggetti a rischio devianza; ex detenuti, minori in fase di uscita dal contesto penale; soggetti appartenenti a famiglie mafiose”