III – LA LEGGE DI RIFORMA PSICHIATRICA: un traguardo di civiltà tra organizzazione e diritti

III – LA LEGGE DI RIFORMA PSICHIATRICA: UN TRAGUARDO DI CIVILITA’ TRA ORGANIZZAZIONE E DIRITTI

Giulio Corrivetti,
Direttore del Dipartimento di Salute Mentali , ASL Salerno

 

Premessa

Il secolo scorso è stato attraversato da flussi, correnti e movimenti che hanno caratterizzato la storia del nostro popolo esaltandone alcuni contrasti ed accelerando le innovazioni coerenti con lo sviluppo e con il progresso della nostra cultura. Tante sono state le riforme che hanno emancipato il nostro paese nel panorama internazionale attraverso battaglie, riconoscimenti e leggi a tutela dei diritti da garantire ai cittadini. Tali riforme hanno donato al nostro Paese un riconoscimento internazionale di paese umano, garantista, innovatore e proteso verso la modernità. Tra queste innovazioni va annoverata la riforma sanitaria e, prima di quella la riforma della psichiatria, con le quali sono stati infranti i limiti ed i pregiudizi, superando il confine dell’impossibile e dimostrando che la salute fisica e quella mentale sono un bene che una società civile deve garantire ai suoi cittadini. Ricordiamo, tutti, che la Legge di riforma psichiatrica anticipò di sei mesi l’emanazione della Legge 833/78. La Salute Mentale diveniva un bene da tutelare, in ogni individuo, con strategie sanitarie e sociosanitarie. La salute pubblica era un diritto e non un lusso quale prodotto di azioni tese alla prevenzione, alla cura ed alla riabilitazione del cittadino nel suo contesto di vita. Quella Legge disciplinava l’istituzione del servizio per la tutele della salute mentale a struttura dipartimentale a cui si attribuivano funzioni preventive, curative e riabilitative relative alla salute mentale, nell’ambito di una Unità Sanitaria Locale (allora definite perciò U.S.L.) e nel complesso dei servizi generali per la tutela della salute (anche questo, fatto innovativo in quanto fino a quel momento la tutela del malato di mente assolveva ad un mandato custodialistico e non sanitario). Quella Legge sanciva e disciplinava il graduale superamento degli Ospedali Psichiatrici. In tal modo il mondo della salute assumeva le funzioni in materia di assistenza psichiatrica, subentrano nella gestione esercitata dalle province, e dalle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (IPAB) e dagli altri enti pubblici che, all’atto dell’entrata in vigore della legge 23 dicembre 1978, n. 833, provvedevano al ricovero ed alla cura degli infermi di mente.

 

Il panorama attuale

Oggi, a quarant’anni dalla emanazione di quelle Leggi innovative, è apparso ancor di più, grazie alle evidenze scientifiche, che la salute è il prodotto di una interazione virtuosa e convergente  di tutti i sistemi che ne sono coinvolti: il sociale, il sanitario, l’istruzione, la ricerca, la giustizia, etc. La salute fisica e la salute mentale non si tutelano con la semplice erogazione di prestazioni professionali, se pur di alta qualità e di alto profilo professionale, ma dal mantenimento, nel tempo, di tutte le condizioni che tutelano il benessere, che promuovono la partecipazione attiva dei cittadini, riconoscendo i diritti dei più fragili riducendo le condizioni di rischio e promuovendo le condizioni di protezione dallo stress ambientale. Rispettando, cioè il ruolo dei determinanti sociali della salute e delle malattie.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, all’indomani del mutamento epocale sancito nel 1978 in Italia ha cavalcato costantemente i valori ed il modello sottoscritto nel nostro paese. Un momento significativo della nostra storia che si consumava mentre, nel nostro paese, altri contrasti esplodevano nelle piazze e nella politica, macchiando le pagine dell’epoca di episodi incresciosi ed anche di grande pericolo. Un anno, quello, veramente ricco di contraddizioni e di anticipazioni.

Certo, in questo clima così problematico, ma tanto vivido di fermenti culturali e sociali, la “Legge Basaglia”, attraverso la chiusura dei manicomi, aprì un varco definitivo ad alcune sacrosante verità che la scienza, la clinica, le evidenze, più che le scienze sociali ed il Diritto, hanno confermato essere giuste. E’ difficile individuare (tra tutte le lotte del novecento) una battaglia altrettanto valorosa per la difesa degli ultimi. Battaglia che fu seguita con tanto entusiasmo sulle pagine della stampa e sui media dell’epoca.

 

Il servizio dipartimentale per la tutela della salute mentale.

All’atto della emanazione delle legge di riforma psichiatrica, i servizi per la tutela della salute mentale furono programmati per avere una forma dipartimentale al fine di garantire una presa in carico degli individui portatori di un bisogno di assistenza psichiatrica, anche lungo tutto l’arco della vita ed al fine di realizzare programmi di intervento atti a privilegiare le soluzioni extra ospedaliere, la continuità terapeutica e la reintegrazione nel tessuto sociale, articolandosi, per questo scopo, con gli altri presidi sanitari e sociali del territorio. I compiti del servizio si declinavano attraverso le funzioni di prevenzione, di diagnosi, di cura e di riabilitazione, garantendo la continuità e la organicità degli interventi sul territorio con prestazioni ed attività ambulatoriali e domiciliari, provvedendo in modo coordinato e programmato a realizzare anche interventi finalizzati ad una politica di educazione sanitaria.

I servizi territoriali sono stati strutturati per garantire la continuità e la organicità degli interventi e delle attività realizzando interventi orientati a corrispondere ai reali bisogni della propria utenza, privilegiando le soluzioni extraospedaliere. Per far ciò, l’assistenza alternativa al ricovero ospedaliero è attuata promuovendo iniziative e utilizzando, in funzione terapeutica, risorse e strutture adeguate in grado di seguire le persone nei loro luoghi di vita, finalizzate alla restituzione dell’utente al tessuto sociale ed alla prevenzione del ricovero ospedaliero, strettamente inserite nella realtà sociale del territorio in modo da consentire la partecipazione della collettività.

Il D.S.M. delle AA.SS.LL è oggi un Dipartimento Strutturale a Direzione unica. E’ una macrostruttura complessa con autonomia gestionale e tecnico-organizzativa ed ha valenza di soggetto negoziale con la Direzione Aziendale. Gestisce le risorse del DSM. Esso programma, promuove, attua, coordina e verifica le attività di prevenzione, cura, riabilitazione e reinserimento sociale degli utenti operando mediante l’integrazione socio-sanitaria. Il Dipartimento agisce attraverso le Unità Operative di Salute Mentale (UU.OO.S.M.), che sono strutture complesse con competenza distrettuale e/o pluridistrettuale. Esse provvedono alla realizzazione delle attività descritte sopra, assumendo, per una data area territoriale, tutte le funzioni di direzione e coordinamento dei percorsi di cura degli utenti di quella comunità. Le UU.OO.S.M. hanno il proprio baricentro nei Centri di Salute Mentale.

 

Il sistema dei servizi per la cura e la presa in carico

Un sistema di cura per la salute mentale è garantito dall’insieme di tutti i servizi pubblici e privati che nel territorio concorrono ai processi di diagnosi, cura, riabilitazione delle persone con disturbi mentali di ogni tipo e gravità ed in ogni fase della vita. In un  certo senso questo sistema rappresenta la missione stessa del Dipartimento di Salute Mentale, nel cui ambito programmatorio e gestionale sono inseriti, in molte regioni d’Italia, anche i percorsi e le strutture per la gestione delle dipendenze patologiche e delle patologie dell’infanzia e dell’età evolutiva. Tale sistema è organizzato in rete con adeguate interconnessioni tra servizi articolati ed integrati con gli altri servizi sanitari e sociali e specializzati su più livelli di attività in forma multidisciplinare.

Pertanto, i Centri di Salute Mentale si posizionano in prima linea, quali centri di regia delle direzioni di trattamento e di presa in carico dei singoli utenti. Essi mantengono una posizione centrale nella rete dei servizi di psichiatria per adulti e, in alcune zone, rappresentano anche l’unica struttura che rappresenta l’intera Unità Operativa, con i suoi ambulatori periferici (in posizione di spoke). Essi rappresentano la sede di accesso ordinario dell’utenza, ove si svolge la maggior parte delle funzioni di valutazione e presa in carico della popolazione; assumono la missione di garantire continuità assistenziale e costituiscono il baricentro della intera rete dei servizi; mantengono la titolarità e la responsabilità dei percorsi di cura svolti anche nel settore ospedaliero, nell’area residenziale ed oggi anche in quello penitenziario, per gli autori di reato.

I Centri di Salute Mentale, hanno il mandato di determinare la regia dei singoli percorsi di cura e la risposta ai bisogni emozionali, cognitivi e comportamentali di una data popolazione, anche attraverso l’integrazione socio-sanitaria che è metodo necessario per la gestione del paziente con disturbi mentali gravi e persistenti. Questo è il più importante mandato istituzionale.

Tali Centri gestiscono anche i percorsi ospedalieri e quelli residenziali che, così, possono essere decisi, autorizzati e coordinati dal personale che tiene in cura quotidianamente il paziente. Il CSM con queste sue funzioni assume in sé la responsabilità, di fatto, di limitare gli accessi nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi Cura e favorire la territorializzazione delle cure, anche attraverso gli interventi residenziali. Per realizzare questi obiettivi, il personale deve operare con la metodologia del lavoro personalizzato, (che sarà rivalutato periodicamente) sulla base di un Piano Terapeutico Riabilitativo individualizzato (PTRI). Questo strumento è diventato, oggi, il sistema di gestione e di valorizzazione degli interventi attraverso i criteri gestionali del case management e del project management.

In questo scenario si è inteso spostare il più possibile il luogo in cui vengono effettuati gli interventi di riabilitazione psicosociale verso i luoghi di vita del paziente, con interventi volti alla riacquisizione delle abilità necessarie, al raggiungimento delle mete significative della vita personale, incluse le legittime aspirazioni di recupero di un ruolo sociale e di inserimento lavorativo.

L’approccio psicosociale, così concepito, tende a valorizzare le abilità della persona, i suoi talenti, responsabilizzando lui ed il suo contesto, attraverso schemi di cura e di riabilitazione votati all’empowerment ed alla condizione di massima libertà di azione e di possibile autonomia. Un lavoro sui diritti e sul riconoscimento delle differenze e delle marginalità dei singoli deve favorire modalità riabilitative, concordate con l’intero sistema di cura e radicate nel sistema di comunità, basate sui principi di autonomia e responsabilizzazione, come l’auto-mutuo aiuto, l’abitare supportato e l’avviamento al lavoro diretto nel libero mercato o sostenuto dalla formazione professionale;

Il CSM è coinvolto nel sistema di comunità, così come le altre articolazioni del Dipartimento di Salute Mentale (dalle NPIA ai SerD agli Enti Locali, etc…) e contribuisce a promuovere l’integrazione tra i servizi sociali e sanitari, prestando la propria opera e le proprie competenze alle agenzie sociali del territorio.

Schema dell’articolazione che declina le organizzazioni del sistema dei servizi per la salute mentale

 

I Centri Diurni (Attività semiresidenziali)

Per quanto attiene ai centri semiresidenziali (o centri diurni), va definito che tali strutture sono strettamente collegati ai Centri di Salute Mentale, sviluppando e realizzando i protocolli di riabilitazione psicosociale descritti, condivisi e rivalutati per il singolo paziente, anche con modalità gruppali e valorizzando le specificità dei singoli.

La Unità Operativa di Salute Mentale assicura le funzioni della riabilitazione psico-sociale attraverso queste strutture semiresidenziali, che devono essere ubicate in idonei locali con adeguati spazi sociali, ma soprattutto devono essere valorizzate dalla grande competenza riabilitativa degli operatori, orientando gli interventi sulle evidenze scientifiche. I progetti riabilitativi personalizzati sono attivati sia in sede che nel mondo reale dell’utente. Per i pazienti con una forte compromissione del funzionamento personale e sociale (ad es.: schizofrenia ad esordio precoce ed a prevalenti sintomi negativi con compromissione cognitiva) l’ambiente semiresidenziale svolge sia una funzione di supporto, che una funzione abilitativa. Per i pazienti con prevalente compromissione relazionale e sociale l’attività semiresidenziale rappresenta una opportunità formativa e risocializzante, ma soprattutto svolge una azione  di mediazione delle complessità della vita.

Nelle attività semiresidenziali, le famiglie, oltre che portatrici di bisogni, diventano spesso risorse virtuose di cogestione e promozione dei cambiamenti terapeutici.

 

Il settore residenziale per adulti

Ogni UOSM dispone di soluzioni abitative (Comunità protette, Case famiglia, Gruppi appartamento), al fine di attuare l’intervento terapeutico e riabilitativo di salute mentale nelle sue varie graduazioni ed articolazioni e secondo piani personalizzati d’intervento.

Le strutture residenziali costituiscono una risorsa del Dipartimento Salute Mentale (DSM), come individuato dal Progetto obiettivo Tutela Salute Mentale 1998-2000 (DPR 1 novembre 1999). Il percorso in regime residenziale fa sempre capo ad una presa in carico da parte del Centro di Salute Mentale (CSM) che elabora un Piano di trattamento individuale a prevalente impronta riabilitativa (PTRI). Pertanto, l’inserimento in una struttura residenziale, nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, avviene esclusivamente a cura del Centro di Salute Mentale. La Commissione Nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) nella classificazione delle prestazioni di assistenza residenziale psichiatrica a ciclo continuo (residenziale), ha individuato due macrotipologie: 1 prestazione terapeutico-riabilitative, e 2 prestazioni socio-riabilitative.

In base all’intensità riabilitativa dei programmi attuati e al livello di intensità assistenziale presente, si individuano tre tipologie di struttura residenziale: 1. Residenze a trattamento intensivo; 2.  Residenze a trattamento protratto; 3. Residenze a trattamento socio-riabilitativo.

Il settore residenziale psichiatrico si è sviluppato inizialmente come alternativa all’Ospedale Psichiatrico per favorire i processi di deistituzionalizzazione. Ha poi conosciuto una espansione consistente, probabilmente sovradimensionata, sulla base di bisogni emergenti di ampliamento delle opportunità riabilitative in contesti alternativi alla ospedalizzazione. Ovviamente occorre ribadire che il Centro di Salute Mentale resta il punto di progettazione, coordinamento e governo dei percorsi clinico- assistenziali dei pazienti con bisogni complessi, anche per tutta la durata della permanenza in residenza.

 

Il Sistema di Emergenza-Urgenza

L’insieme dei servizi sanitari del territorio (extraospedalieri) fornisce anche le risposte alla emergenza- urgenza nel campo psichiatrico. L’urgenza è una situazione acuta e grave che richiede intervento terapeutico immediato (ad es.: crisi di agitazione o maniacali, crisi deliranti e/o allucinatorie, crisi d’ansia o depressive). Precisiamo, qui, che ogni documento e disposizione normativa che ha trattato il tema dell’emergenza psichiatrica ha sempre ripreso e sostenuto il principio cardine della riforma psichiatrica, che ribadisce l’importanza della prevenzione del maggior numero possibile delle emergenze, tramite una presenza territoriale continua. Proprio i Centri di Salute Mentale sono tenuti a formulare  un apposito piano delle emergenze-urgenze: in questo Piano vanno definite le procedure per la effettuazione di trattamenti sanitari volontari ed obbligatori (ASO e TSO) ed i percorsi di gestione della emergenza-urgenza tesa alla minore istituzionalizzazione possibile, riducendo o evitando, per quanto possibile, il ricorso al ricovero presso i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura.

Il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura è la struttura, a valenza dipartimentale, che provvede alla esecuzione degli accertamenti e trattamenti sanitari volontari ed obbligatori in condizione di degenza ospedaliera nei confronti delle persone affette da malattie mentali. Proprio il Servizio psichiatrico ospedaliero concorda con le Unità Operative territoriali del DSM i protocolli di collaborazione, il programma terapeutico, nonché le modalità ed i tempi delle dimissioni dei pazienti afferenti a ciascuna delle UU.OO.S.M.

All’interno dei servizi ospedalieri i processi di cura devono essere ispirati alla massima appropriatezza: vanno esplicitate le linee di condotta interne volte a ridurre le restrizioni imposte al paziente. Ogni forma di limitazione delle libertà deve essere rigorosamente formalizzata ed i diritti alla informazione del paziente rigorosamente rispettati. Le pratiche di contenzione fisica devono essere limitate ai casi di estrema necessità, nell’esclusivo interesse della incolumità del paziente e delle persone del contesto immediato.

 

Il sistema di comunità

Le politiche per la tutela della salute e del benessere di una comunità, la necessaria attenzione ai determinanti sociali della salute mentale impongono un assetto gestionale ed una previsione che fonda sul di un particolare concetto di salute, intesa quale bene la cui tutela sia un valore prima ancora che un esito. Se la mission generale di un Dipartimento di Salute Mentale -in quanto sistema di assistenza psichiatrica territoriale — rimane quella di occuparsi della prevenzione, cura e riabilitazione della totalità delle malattie mentali, la sua mission specifica, come sistema psichiatrico organizzato per garantire una gamma di interventi “essenziali”, va formulata a partire dalle politiche sanitarie definite a livello nazionale o regionale e dalle strategie locali (regionali o aziendali) di allocazione delle risorse. Si tratta, in definitiva, di stabilire una gerarchia delle funzioni, considerando che la mission gerarchicamente prioritaria del DSM consiste nell’intercettare e accogliere i bisogni, trovare risposte e dar voce a chi è fragine e marginale nella comunità.

In questa prospettiva, oltre ad azioni di cura e riabilitazione, vanno considerate le attività di prevenzione e promozione attraverso dinamiche che possano coinvolgere una intera collettività. Al di fuori di questa prospettiva la disciplina psichiatrica, quale disciplina medica, si limita semplicemente ad una prestazione professionale a prevalente impronta clinica su obiettivi di malattia e non di salute e benessere psichico quale sistema più ampio di tutela della salute della mente dei cittadini.

Perciò il sistema si rivolge alla sfera sociale e collettiva, essendo fortemente influenzata dalle modalità del vivere sociale, dai cicli economici e dalla vitalità delle istituzioni di un territorio. La dimensione di un sistema di comunità crea una integrazione tra servizi con un ruolo determinante degli Enti Locali. Un sistema così concepito si basa su concetti e su di una operazionalità e su interventi a forte integrazione socio-sanitaria.

La visione dei servizi basati sulla psichiatria di comunità, che è emersa dalle esperienze alternative italiane e da tutti gli atti normativi, ha focalizzato la prospettiva di sviluppo nel modello dipartimentale quale modello organizzativo di riferimento, nella centralità del servizio pubblico, nell’approccio di accreditamento istituzionale più che professionale, nella centralità, infine, della presa in carico dei pazienti affetti da disturbi mentali, sia gravi che meno gravi.

Ogni intervento sulla salute mentale dei cittadini attribuisce il valore ad una specifica anima sociale, così, ogni intervento sociale non può prescindere dalla dimensione della salute e del benessere soggettivo degli esseri che compongono una comunità. Questo è il fondamento della integrazione sociosanitaria che si declina attraverso i percorsi individuali del singolo utente. Ed è anche il motivo per cui, in ogni ambito territoriale, si debba agire attraverso strumenti multi-professionali come le Unità di Valutazione Integrate (UVI) che rappresentano il sistema operativo con cui si realizza tale integrazione. Un Piano Individualizzato viene discusso, articolato nei suoi percorsi e lo si sottoscrive dopo un lavoro multidisciplinare di équipe. Questa è la modalità per coinvolgere integralmente le responsabilità degli Enti Locali.

Una domanda che, a più di 40 anni dalla emanazione della legge “Basaglia”, è legittimo porsi oggi è se i Dipartimenti di Salute Mentale, nella loro attuale configurazione organizzativa e funzionale, siano ancora dei servizi di psichiatria di comunità. Perché questa domanda? Perchè si è registrato in molte aree del territorio nazionale una riduzione dei valori e delle metodologie che hanno caratterizzato, inizialmente, il sistema dei servizi pubblici ed il modello comunitario di essi. Oggi è legittimo riproporsi l’obiettivo di rifondare l’orizzonte teoretico ed operazionale della medicina e della psichiatria di comunità, sulla base delle nuove evidenze scientifiche, sulla base dei capovolgimenti sociali epocali a cui stiamo assistendo, al fine di ricostruire un modello coerente sotto il profilo tecnico, scientifico e valoriale. L’aziendalizzazione del sistema sanitario ed i mutamenti dei percorsi tecnici della cura hanno determinato una profonda modificazione dell’organizzazione e delle pratiche di assistenza psichiatrica territoriale.

Si tratta, in definitiva e come sempre, di ripartire dai servizi e dalle pratiche concrete per cercare di capire le criticità, ma anche le più moderne ed innovative potenzialità.

 

L’integrazione socio-sanitaria

Da quanto detto, si evince che l’integrazione socio-sanitaria nel campo della salute mentale definisce vari ambiti di azione che caratterizzano il sistema sanitario di Comunità. Tali azioni, infatti, nel rispetto dei LEA, si declinano sull’asse degli interventi territoriali, sull’asse di quelli semiresidenziali ed in ultimo di quello residenziale.

Cosa si intende per livello territoriale dell’assistenza? Si intende la dimensione non ospedaliera dell’assistenza, prioritaria nel seguimento a lungo termine (anche su tutto l’arco della vita) degli utenti. Tale obiettivo prioritario per la tutela della salute mentale di una popolazione muove in  prima istanza da un piano di prevenzione attraverso una azione di coordinamento di tutti gli attori e tutte le forze che contribuiscono allo sviluppo di un dato territorio, coinvolgendo i suoi attori ed i suoi sistemi (quelli del mondo della salute, del mondo dell’istruzione, del mondo della giustizia, del mondo del sociale, etc.). La struttura dipartimentale garantisce la valorizzazione sia della prevenzione primaria che di quella secondaria. Il lavoro di rete si avvantaggia proprio del raccordo tra Enti (Provincia, Comuni, Scuola, ASL) per produrre intese in tema di prevenzione delle disabilità e di recovery degli utenti. Il passo successivo è caratterizzato dalla Promozione della salute mentale. La promozione della salute mentale consiste nel contrastare gli atteggiamenti legati alle condizioni di stigma, di emarginazione e di discriminazione che contaminano la sofferenza degli utenti e dei loro familiari. Tale azione si esplica attraverso  la diffusione di una sana cultura del benessere personale e sociale, implementando i valori della solidarietà, e del riconoscimento sociale, che costituiscono il patrimonio più nobile di una comunità, effettuando iniziative di promozione del diritto di cittadinanza attiva e partecipata dei cittadini con disturbi mentali.

 Altra istanza è l’impegno alla Sussidiarieta’:  si orientano i servizi alla persona sulla base dei bisogni, sulla base della dimensione relazionale e sui valori della soggettività e dei diritti della persona. Oggi più che mai serve un impegno per la ricerca di risposte innovative a supporto dei bisogni personali e sociali delle persone affette da disturbi mentali.

Lo schema che segue esemplifica le interrelazioni tra contesti, culture e valori in un sistema sociosanitario moderno.

 

Importante, ancora una attenzione a garantire una presa in carico complessiva e globale che ci avvicini agli utenti soprattutto mediante un lavoro domiciliare soprattutto in forma integrata (sociale e sanitaria), al fine di assicurare il valore aggiunto dell’assistenza e della socializzazione, a garanzia del principio di cittadinanza e di eguaglianza, affinchè la persona con disturbi mentali possegga gli stessi diritti di ogni altro cittadino. Serve per questo un impegno a sostegno del reddito, con tutti gli strumenti disponibili, come le borse lavoro o altri contributi economici.

Infine le politiche abitative: nell’ultimo decennio, in psichiatria di comunità si sono diffuse pratiche innovative di abitare supportato, o “residenzialità leggera”. Vengono messi in evidenza i paradigmi per lo più impliciti che attraversano queste pratiche, condizionandone le caratteristiche e gli esiti, e una breve rassegna della letteratura che consenta di metterne a fuoco i principi fondamentali. Vivere autonomamente in un’abitazione degna ed autonoma, e integrata nel tessuto sociale, è ovviamente ritenuto un obiettivo “ideale” del trattamento e della riabilitazione delle persone con disturbi mentali gravi e persistenti, oltre che un esito dei processi terapeutici. L’abitazione supportata (supporting housing), rappresenta un approccio, che si è diffuso in vari paesi, accreditandosi come best practice. Esso rappresenta un ribaltamento è perciò fondato innanzitutto sulla disgiunzione fra alloggio e assistenza. Ne consegue che il bisogno di alloggio e bisogno di assistenza possono essere messi a fuoco e valutati separatamente. Si può rispondere ai bisogni di cura e assistenza con una casa “vera e propria”, dignitosa e non transitoria, oltre ad una rete flessibile di assistenza domiciliare.

Ed infine, gli  inserimenti lavorativi: la legge 180 del 1978 ha determinato, per i pazienti psichiatrici, la possibilità di riappropriarsi dei propri diritti, ma la questione tuttora aperta nelle pratiche di Salute Mentale è come trasformare il diritto da formale a sostanziale: la cittadinanza del paziente psichiatrico, infatti, non è la semplice restituzione dei suoi diritti formali, ma la costruzione dei suoi diritti sostanziali ed è solo dentro tale costruzione (affettiva, relazionale, materiale, abitativa, produttiva) che sta l’unica riabilitazione possibile. I pazienti psichiatrici, da sempre, sono stati “messi a lavorare” per passare il tempo, per la produzione di oggetti artistici, per sostituirsi al lavoro del personale della struttura, quale metodo occupazionale, ma sterile di riabilitazione. Il lavoro così inteso ha avuto un valore sterile, tanto per passatempo o come pretesa terapeutica dove, però, tutto era sempre uguale a sé stesso e non produttivo. Nelle esperienze alternative al manicomio, inizialmente a Trieste, le prime esperienze furono realizzate attraverso le cooperative di lavoro, così che fin dal 1972, fu sancita la fine dell’ergoterapia a favore di un pieno diritto al lavoro.

Oggi le forme dell’inserimento lavorativo, hanno finalità anche molto diverse, avendo abbandonato la logica a favore della piena autonomizzazione lavorativa completa che si concretizza attraverso veri e propri tirocini formativi e percorsi di inserimento. Tra le forme di riabilitazione per le quali esistono maggiori evidenze scientifiche, la metodologia degli inserimenti lavorativi rappresenta una tra le più accreditate.

 

Il Piano di Azioni Nazionale Salute Mentale

Il Ministero della Salute ha emanato nel 2014 un Piano di Azioni Nazionale per la Salute Mentale che inquadra il mandato istituzionale in materia all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza e punta a garantire l’attività sanitaria e sociosanitaria nell’ambito di programmi terapeutico-riabilitativi a favore delle persone con problemi psichiatrici e/o delle famiglie e che si articola in queste quattro aree:

  1. prestazioni ambulatoriali e domiciliari terapeutiche-riabilitative e socio riabilitative, secondo il progetto terapeutico individuale;
  2. prestazioni diagnostiche, terapeutiche, riabilitative e socio riabilitative in regime semiresidenziale, secondo il progetto terapeutico individuale;
  3. prestazioni diagnostiche terapeutiche, riabilitative e socio-riabilitative in regime residenziale nella fase intensiva ed estensiva, secondo il progetto terapeutico individuale;
  4. prestazioni assistenziali e socioriabilitative, compresi programmi di reinserimento sociale e lavorativo, sia in regime residenziale nella fase di lungoassistenza che nella comunità, secondo il progetto terapeutico individuale.

Il Ministero della Salute, su indicazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha adottato questo “Piano di azioni nazionale per la salute mentale”. esso tiene conto di una serie di indicazioni internazionali definite nella Declaration and Action Plan di Helsinki dell’OMS Europa (2005) e MH Gap dell’OMS Ginevra (2008), nella Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, recepita in Italia con legge 18/ 2009, le  Linee di Indirizzo per la Salute Mentale del 20.3.2008 ed il Patto per la Salute 2010-2012. Da un punto di vista metodologico, la declinazione delle azioni prioritarie su bisogni di salute e interventi, prevede la definizione degli obiettivi di salute mentale per la popolazione, la definizione delle azioni e degli attori, ed infine definisce i criteri e gli indicatori di verifica e di valutazione, che attualmente il Ministero della Salute sta monitorando attraverso il “tavolo interregionale salute mentale”.

Esso individua alcune aree omogenee di intervento e, nel contempo, offre indicazioni metodologiche utili a delineare una progettualità innovativa, funzionale alla tipologia dei bisogni prioritari da focalizzare. A tal fine seleziona alcuni bisogni prioritari su cui elaborare i percorsi di cura che possono essere ricondotti all’area degli esordi – intervento precoce, all’area disturbi comuni, all’area disturbi gravi persistenti e complessi, all’area dei disturbi dell’infanzia e adolescenza.

La metodologia di lavoro indicata si articola essenzialmente in percorsi di cura e programmi innovativi che i Servizi di Salute Mentale, in particolare nei Centri di Salute Mentale e nei servizi territoriali, e i Servizi per i Disturbi Neuropsichici in Infanzia ed Adolescenza si impegnino a elaborare e a erogare sulla base della differenziazione dei bisogni e dei progetti specifici di intervento clinico proposti, come esemplificato di seguito nella tabella riassuntiva di metodo:

Quindi la metodologia suggerita si fonda sulla necessità di lavorare per progetti di intervento, specifici e differenziati, sulla base della valutazione dei bisogni delle persone e della implementazione di percorsi di cura che sappiano intercettare le attuali domande della popolazione, come indicato nello schema che segue:

Analoga metodologia, si ritiene, debba essere acquisita, da parte dei servizi territoriali italiani per la presa in carico dei problemi emotivi, cognitivi e comportamentali dei migranti.

 

La psicoterapia nel servizio pubblico

Questo problema ci porta ad affrontare un altro punto, quello della pratica della psicoterapia nei servizi pubblici, e cioè, più esattamente, di cosa si intenda per psicoterapia nei servizi pubblici, se e come la psicoterapia nel pubblico possa essere diversa da quella praticata nel privato. Questo problema è spesso trattato tramite una ricca serie di luoghi comuni e stereotipi culturali. Ad esempio: si dice che la psicoterapia nel privato è “migliore” da quella nel pubblico. Ogni fenomeno può essere diverso da un altro, ma questa affermazione non ci dice gran ché se non si specifica bene quali sono le differenze. E qui nascono le difficoltà di andare oltre i luoghi comuni. Vediamo allora alcuni di questi luoghi comuni: la possibilità di trasporre la psicoterapia, da un contesto privato a uno pubblico, appare un’operazione complessa, soprattutto se intesa come semplice riproduzione di un trattamento, all’interno del quale si concretizza un rapporto a due, tra un terapeuta e un paziente. La psicoterapia, in un contesto pubblico, deve tener presente alcune peculiarità relative alla diversità del setting.

In primo luogo, devono essere effettuate considerazioni legate ad aspetti concreti del setting, tra i quali la struttura fisica del Dipartimento, l’organizzazione degli spazi e dei tempi, la relazione con un’équipe ed i tempi dedicati al lavoro. Ciononostante, la propensione ad un assetto di psicologia clinica nei Centri di Salute Mentale, rappresenta un indicatore di buona qualità dei servizi. Pertanto, la psicoterapia condotta in un Dipartimento di Salute Mentale comporta la considerazione di un meta-setting costituito dalla struttura nel suo complesso, che va a definire la relazione operatore-utente in merito a diversi aspetti tecnici In un contesto come quello di un Dipartimento di Salute Mentale, il rapporto tra alleanza terapeutica e transfert arriva a comprendere elementi appartenenti alla struttura pubblica. L’alleanza terapeutica va ridimensionata in un setting più ampio in cui tutti gli operatori diventano oggetto di proiezioni, identificazioni e vissuti transferali.

 

Conclusioni

Nei manicomi tutte le persone erano uguali a sé stesse, ogni storia dei singoli scadeva in una profonda omologazione alla marginalità, alla regressione alla neurodegenerazione. Solo l’inaugurazione di una rete pubblica di servizi, territoriali ed ospedalieri, preparati ad accogliere ogni volto della sofferenza psichica, ogni forma di disturbo psichiatrico, ogni bisogno di cura, in qualunque epoca della vita dell’individuo, ha permesso di rimodulare i manuali della psichiatria, le categorie e le diverse espressioni dei destini personali. Non più l’inguaribilità, non più il ricorso all’esclusione, ma la declinazione dei diversi moduli funzionali e strutturali coordinati in una rete dipartimentale di servizi sia ambulatoriali, che residenziali, che ospedalieri. In questi strati interagenti le caratteristiche differenti dei diversi disturbi del comportamento sono apparse più distinguibili nelle loro specificità e caratteristiche categoriali e dimensionali, nelle loro multiformi manifestazioni, fino a riuscire a focalizzare quanto la dimensione biologica, quella psicologica ed il ruolo dei fattori ambientali sviluppasse una tavolozza più ricca di identità psicopatologiche. Differenze e confronti hanno restituito alla psichiatria, attraverso la sua epidemiologia ed attraverso la clinica, un flusso ricchissimo di dati sulla base dei quali è stato possibile individuare il ruolo dei fattori di cura e quello dei fattori di rischio, determinanti per arricchire le statistiche di guarigione. La psichiatria, così, è entrata, finalmente di diritto nelle discipline mediche e, da questo nuovo baricentro, ha contribuito alla comprensione dei meccanismi fisiopatologici, ponendo in evidenza le tante analogie che accomunano i disturbi della mente con altre malattie. L’aumento di incidenza di tante patologie ha imposto al sistema sanitario di spostare sempre più il baricentro dell’assistenza sui poli territoriali in alternativa a quelli ospedalieri (come aveva delineato, fin dall’inizio, lo schema euristico dei servizi per la tutela della salute mentale)  riscoprendo nei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali, di recente definizione, l’asse virtuoso per la gestione extraospedaliera delle cronicità..

Il manicomio nel mezzogiorno d’Italia ha rappresentato per alcune aree un centro di potere economico, di occupazione e di sviluppo locale, mentre, per i pazienti e le loro famiglie un destino di deportazione e di esclusione. Si pensi al fatto che l’elevata concentrazione di ospedali psichiatrici e di posti letto aveva fatto della nostra regione il luogo di deportazione di persone provenienti dalla Sardegna dalla Calabria dalla Sicilia. Persone che non godevano più di contatti con le loro famiglie anche per interi anni.

Uno spaccato della storia del mezzogiorno d’Italia nel secondo novecento è fortemente influenzata dalla cultura e dall’economia che circondano quella Istituzione. La Campania ha vissuto anche sull’industria dei manicomi (5 manicomi civili e 3 Ospedali Psichiatrici Giudiziari, tra Napoli e Salerno). La fase della critica e delle lotte per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici va dal 1965 al 1975 (sono gli anni dell’esperienza alternativa di Sergio Piro, consumata tra le mura dell’OP di Materdomini). La fase della riforma copre l’arco temporale che va dal 1976 al 1983, (il Frullone ed il Bianchi, ed in parte anche l’”Umberto I°” di Nocera Inferiore ospitano gruppi di discussione, seminari, studenti di varie facoltà e specializzandi in psichiatria creando una officina di idee). Tutto quel fermento di riflessioni e di iniziative furono determinanti per partorire, poi, la Legge regionale della Psichiatria n. 1 del 1983; un esempio innovativo ed esemplare di organizzazione dipartimentale che rappresentò un modello unico ed originale anche rispetto alle altre regioni italiane. Tutto ciò fu un preludio alla terza fase, caratterizzata dalla costituzione dei primi servizi territoriali e che possiamo inquadrare tra il 1984 ed il 2000.

Dal 1978 ad oggi nei servizi di salute mentale sono stati accolti sempre meno pazienti con schizofrenia e sempre più forme fluide e temporanee della sofferenza psicotica. La popolazione degli utenti è mutata: più utenti giovani con condizioni comportamentali multiproblematiche richiedono interventi e strategie terapeutiche multidisciplinari e complesse. Si è fortemente implementata la integrazione con la neuropsichiatria infantile e con i servizi per le dipendenze.

Oggi, i servizi di salute mentale sono basati sulla metodologia della “Recovery”. Essa implica, accanto agli interventi ambulatoriali e domiciliari di tipo clinico, interventi di coinvolgimento sociale, di formazione, di sostegno al lavoro. Obiettivi della “recovery” diventano, così, tanto la guarigione clinica che la guarigione sociale fondata su criteri quali il “benessere soggettivo”, la “qualità della vita”, la “partecipazione sociale”, l’”autonomia”. Gli interventi di “Recovery” sono il perno della speranza in un futuro migliore fondato sulla contrattualità sociale, sul potere personale e sulla difesa dei diritti.

Cosa è avvenuto in questi quaranta anni: grandi speranze e grandi delusioni. Certamente maggiori strumenti terapeutici, ma anche la certezza di quanto altro si debba fare ancora per comprendere a pieno le problematiche del neurosviluppo e per partorire scoperte utili a rivoluzionare il campo della terapia.

Cosa ci hanno dimostrato le neuroscienze oggi: Il cervello è sociale ed è il risultato delle relazioni che lo plasmano e ne modulano la plasticità. Anche le neuroscienze, oggi, si definiscono sempre più come neuroscienze sociali. Quali scoperte si sarebbero realizzate su una popolazione di pazienti tutti uguali tra di loro e con il cervello in regressione funzionale? La scoperta italiana dei neuroni specchio, tra le tante scoperte fatte sul cervello in questi ultimi 40 anni, ha ulteriormente avvalorato la a-terapeuticità della istituzione manicomiale, più di quanto abbiano fatto la filosofia esistenzialista, la nascente sociologia, la politica e le psichiatrie alternative. Infatti, gli scienziati di Parma, 20 anni dopo la Legge Basaglia, hanno decretato che l’apprendimento umano, come quello di qualunque mammifero, è fondato innanzitutto sulla imitazione motoria, e che i cervelli risuonano di una consonanza intenzionale già nella fase prelinguistica, pre-logica e pre-razionale. È evidente, perciò, che chiunque, pur ricco di una sua storia, di una sua biografia e di un patrimonio identitario, finisse per imitare i comportamenti regressivi, mischiato, per tutto il tempo della propria vita, in saloni luridi e puzzolenti dove in numeri da sovraffollamento bellico, condividevano altalene dei corpi, il fumo incessante di sigarette ed un vociare indistinto, alternato ad urla che evocavano solo disperazione.

La Legge di riforma psichiatrica ha nobilitato il nostro paese; gli operatori che oggi impegnano le loro energie nel variopinto sistema di servizi per la tutela della salute mentale a difesa degli ultimi e degli emarginati, difendono il traguardo di civiltà raggiunto nella nostra comunità: non era, e non è, sufficiente la tolleranza delle disabilità e delle diversità, ma il loro riconoscimento umano, sociale e giuridico. Questo traguardo apporta risorse e sviluppo all’umanità, alla scienza ed alla speranza in un futuro migliore.