Come una cittadella assediata, la psicoanalisi ha cercato di difendersi dai ricorrenti attacchi a quello che ha sentito come il suo ubi consistam: l’Edipo. Non a caso quando, negli anni settanta, Deleuze e Guattari tentarono di sferrare quello che per loro doveva essere il colpo più duro alla psicoanalisi pubblicarono l’Anti-edipo.
Cosa accade nell’Edipo sofocleo è noto a tutti: Edipo uccide il padre, giace con la madre con cui genera quattro figli, si acceca mentre Giocasta si dà la morte, e la maledizione si abbatterà sui suoi figli. Freud ponendo il complesso di Edipo al centro dell’esistenza stessa del soggetto, mostra quanto profondo sia il suo pessimismo sull’esistenza dell’essere umano e in particolare sul senso dell’esperienza familiare. La viltà di Laio e Giocasta pronti a sacrificare il figlio, l’arroganza di Laio e la collericità di Edipo, l’infamia dell’incesto e infine la maledizione che si abbatte sulla progenie. Nell’antropologia di Freud, secondo una logica molto hobbesiana, ciò che unisce gli esseri umani è la paura, il bisogno.
La funzione coesiva è sempre al prezzo di uno scarto, di un sacrificio molto alto: la castrazione, in una catena in cui tra padri e figli non ci si passa lo scettro del comando ma l’accettazione della castrazione. Ieri è toccato a te, oggi tocca a me e via di seguito. In questa antropologia, di cui, purtroppo, ognuno di noi ha imparato a conoscere la profonda evidenza e la disperante verità, accade necessariamente una cosa: il padre, o meglio, la funzione paterna è, deve essere, coerente con tale antropologia. Rappresentante di un potere che non ha e che, proprio perché non ce l’ha, deve esercitare parodisticamente.
Ancorché ancorata alla clinica dell’Edipo, la psicoanalisi ha visto sfaldarsi i vecchi sistemi familiari, che hanno dato vita a nuove configurazioni, nelle quali il padre poco si ritrova nel ruolo di chi minaccia di castrazione il figlio che tenta di entrare nel letto coniugale. O di colui cui spetti di tagliare la simbiosi tra figlio e madre, madre peraltro chiamata ad essere sufficientemente buona e a dare il giusto holding. Certamente Freud ha disvelato una delle trame possibili della relazione generativa e genitoriale, quella da cui ognuno, come Edipo, vorrebbe sottrarsi, e da cui, forse ingenuamente, i pallidi padri contemporanei fuggono atterriti.
Le trasformazioni delle famiglie nucleari a impronta “patriarcale” e delle società sempre più “liquide” hanno messo in fuga un polo della triade, lasciando madri e figli sempre più soli, con una percepita riduzione delle patologie da conflitto Super-egoico, per un prevalere delle patologie a impronta narcisistica e depressiva: la cosiddetta evaporazione del padre sembra quindi la naturale causa del proliferare delle nuove patologie.
In questo quadro, l’Edipo rimane, ma nella sua forma tardo imperiale, in cui la mollezza dei costumi ha indebolito quasi a morte l’auctoritas paterna.
E tuttavia, se da una parte si cerca ancora di salvare l’Edipo, provando a ridefinire la clinica attuale all’interno di un indebolimento del potere paterno, le trasformazioni sociali sembrano andare ben oltre nel ripensamento del concetto di genitorialità, e quindi di definitivo superamento della logica del conflitto tra i sessi quale costituente della vita psichica. Soprattutto sotto la spinta delle nuove famiglie omosessuali, si va definendo un pensiero clinico psicoanalitico nel quale la genitorialità non è caratterizzata da una forte specificità di genere, anche in termini di funzione psichica, e il conflitto tra i sessi non è il centro dell’esperienza psichica dei bambini e del loro rapporto con le figure genitoriali. Ovvero, sempre più si va sostenendo che non soltanto non è necessario avere un padre e una madre, ma che la funzione di holding non attiene al materno più di quanto la funzione dell’esercizio della legge non attiene al paterno. Anzi, potremmo dire, che la genitorialità capace di assicurare uno sviluppo armonico è quella che è in grado di aiutare l’infante a regolare l’emergere di emozioni terrifiche, e a impedire che si instaurino pattern di risposte inconsce fortemente disfunzionali; aree dissociate e inaccessibili ai processi di mentalizzazione. In questo caso, seppur appare evidente che la funzione evocata sia fortemente influenzata da costrutti tipicamente attribuiti al ruolo materno (madre sufficientemente buona, rêverie materna, funzione alfa, eccetera), ciononostante essa non viene necessariamente richiesta alla madre, ma a qualsiasi caregiver. E’ una funzione non più radicata nella biologia, né tanto meno sul genere; né il ruolo assume una necessaria bipolarità sessuale.
Ne consegue che nella clinica e nella teoria sembra non esserci più bisogno del padre e dell’Edipo, mentre nella società pare ovunque percepirsi lo sconcerto per i pallidi padri in cui ci si imbatte. Sembrerebbe così, che il lungo attacco all’Edipo sia giunto a termine: il complesso di Edipo si è liquefatto, come la famiglia e la società. Dalla scena analitica scompare il conflitto che ha caratterizzato il rapporto tra genitori e figli sicuramente sin da i tempi di Urano, Crono e Zeus e giù a scendere sino a Medea e oltre, e soprattutto scompare la necessità di attribuire ruoli e funzioni diverse nella coppia genitoriale: non più Ettore con l’elmo e Andromaca sulla porta Scea: in questo nuovo mondo l’elmo che terrorizza Astianatte può essere indossato da un qualsiasi o da nessun genitore senza imbarazzi.
Ma poi, è proprio così?
Del resto, il mondo psicoanalitico appare sospeso tra lo Scilla di coloro che balbettano sempre la medesima antropologia freudiana e provano a ricordare ai padri che è essenziale porsi come figura autorevole/autoritaria per garantire ai propri figli il tranquillo benessere psichico di soggetti castrati e rabbiosa. O il Cariddi di quanti paiono convinti di aver infranto quella “roccia basilare” che secondo Freud impedisce la pacificazione tra i due sessi biologici e non aver più bisogno di una differenza tra maschi e femmine, e quindi di fatto dell’Edipo.
Tema diviso quanto mai, e tuttavia tema non eludibile: qualcuno potrà dire che si parla sin troppo dei padri e della loro evanescenza, ma non di questo vuole parlare il convegno, bensì della necessità di ripensare una clinica e una teoria che se non coerente nell’affrontare queste domande sappia almeno farsi carico delle molte e complesse aporie che esse ci pongono.