Incontro tra letteratura e Psicoanalisi
Noia. Dialogo tra filosofi, antropologi, psicoanalisti
Presentazione del libro di Otto Fenichel, Sergio Benvenuto, Bruno Moroncini, Giovanni Pizza, edito da Edizioni Grenelle (Collana Sproni)
Venerdì 16 giugno 2017 ore 17.00 c/o IPRS
Passeggiata di Ripetta, 11 – Roma – Ingresso libero con prenotazione – 06.32652401 – iprs@iprs.it
Scacco della ragione, sopore dell’animo, paralisi della volontà, luogo di sospensione del mondo, la noia aleggia da sempre sulle vite degli uomini come una “nebbia silenziosa” che confonde tutte le cose. Dall’acedia del monaco medioevale alle tentazioni del demone meridiano, da Leopardi a Nietzsche, da Heidegger a Moravia fino ai casi di cronaca dei giorni nostri, questa parola, che nomina una condizione esistenziale e psichica insieme, non smette di essere il movente non censito delle nostre decisioni e relazioni.
In un dialogo a più voci fra filosofi, antropologi, psicoanalisti questo libro cerca di gettare luce intorno ai concetti che gravitano attorno alla nozione di “noia”, delineando concezioni e orientamenti disciplinari ma soprattutto additando luoghi della riflessione per ripensare il suo attuale significato.
Sergio Benvenuto, Cristiana Cimino, Bruno Moroncini, Giovanni Pizza discutono del libro con il pubblico – Introduce Raffaele Bracalenti.
L’Evento è organizzato in collaborazione con Istituto di Ricerche Europee in Psicoterapia Psicoanalitica e Istituto di Studi Avanzati in Psicoanalisi.
Un estratto da LA NEBBIA SILENZIOSA, saggio di Sergio Benvenuto nel volume NOIA, Grenelle, 2017.
Psicoanalisi, l’eclisse dell’oggetto
Il contributo psicoanalitico sulla noia più citato è quello di Otto Fenichel (1934). Egli distingue la noia patologica – ovvero cronica, immotivata – dalla noia normale, e in entrambe vi ritrova la stessa dinamica: ci si annoia perché manca l’oggetto o la meta che potrebbero soddisfare la pulsione. Nella noia patologica l’oggetto è rimosso, ovvero il soggetto non sa più quale oggetto potrebbe soddisfarlo; in quella normale l’oggetto manca semplicemente. In ogni caso, abbiamo a che fare con un rapporto tra la pulsione e il suo oggetto. Questa tesi era già stata enunciata in altri termini da Schopenhauer, per il quale la noia è leerer Sehnen, desiderio vuoto, è tensione desiderante che mira a qualcosa che non c’è.
Se l’analisi di Fenichel è esatta, dobbiamo giungere a una conclusione inevitabile: che nella noia facciamo esperienza diretta della pulsione allo stato puro, proprio perché deprivata di oggetto. Anzi, facciamo esperienza di un aspetto particolare della pulsione: di Drang, la spinta, o anelito, impulso, esigenza. Contrariamente a quel che pensano molti, l’oggetto non è qualcosa che si aggiunge alla pulsione, ma è parte costitutiva di essa; una parte essenziale che però può mancare. Quando una nostra pulsione ha un oggetto, in qualche modo questo ci distrae dal pulsare stesso, lo assorbe nel valore che l’oggetto ha per noi. Come Husserl diceva che la coscienza è sempre coscienza di qualche cosa, analogamente possiamo dire “la pulsione è sempre desiderio di qualcosa”, tranne che nella noia, doloroso desiderio di nulla. In questa prospettiva, il negarsi dell’ente nella sua totalità secondo Heidegger andrebbe riformulato in questo modo: l’ente nella sua totalità si nega come oggetto (Objekt) pulsionale. Il soggetto non trova nell’ente alcun Objekt, che in psicoanalisi è oggetto del desiderio o del godimento – non l’oggetto oggettivo (Gegenstand, star di contro), ma l’objet objectal come dicono i francesi, l’oggetto oggettuale, l’oggetto-per-un-soggetto. Nella noia l’ente se ne sta per conto proprio, non si offre più al soggetto per soddisfarlo o farlo godere, né per perseguitarlo. L’ente si riduce a Gegenstand.
Sarebbe un errore pensare che, siccome all’annoiato non interessa nulla del mondo, si produrrebbe in lui un calo o sparizione delle pulsioni, della libido. Se la libido sparisse, il soggetto sarebbe senza vita, una “statua” umana. Ma la noia è dolorosa; e non c’è dolore senza libido. Nella noia invece la libido è forte, ma senza oggetto e senza “senso”.
Che cosa è la pulsione, der Trieb? Innanzitutto la pulsione è qualcosa di attivo, “maschile” dice Freud (il genere di Trieb in effetti è maschile in tedesco), è uno spingersi su, un debordare[1].
Prima di tutto Freud (1915a) distingue le pulsioni dell’Io – che vegliano all’autoconservazione dell’individuo – dalle pulsioni sessuali, quelle di cui si occupa specificamente. Per Freud le pulsioni sono tutte parziali, anche se le raccoglie nella categoria generale di libido. Freud non nega che si possa parlare di pulsione di giuoco, di pulsione di distruzione, di pulsione di socialità, ecc., ma pensa che tutte queste pulsioni “mentali” siano scomponibili in pulsioni parziali più elementari, connesse all’erogenità del corpo[2]. L’assioma freudiano è che lo spirituale e il mentale siano una complicazione della “carne”, del corpo libidico. Le pulsioni sessuali sono parziali perché emanano da parti del corpo, che sono per lo più orifizi (anche l’occhio, ad esempio, nel caso della pulsione scopica è orifizio). Oltre a questi orifizi o buchi che sono fonte (Quelle) della pulsione, abbiamo una spinta o impulso (Drang), uno scopo (Ziel) e un oggetto (Objekt). L’oggetto, parte integrante della pulsione, può cambiare in quanto ente, ma occorre che una posizione-oggetto ci sia sempre perché la pulsione si dispieghi come tale.
La noia si distingue dal lutto e dalla depressione. Nel lutto si soffre della perdita di un oggetto amato (Freud 1915b). Ma se nel lutto e nella depressione si è perso l’oggetto in quanto ente, la posizione-oggetto è rimasta però invariata; si soffre per qualcosa che dovrebbe essere in un certo posto, e non c’è più. Nella noia invece manca la posizione stessa dell’oggetto: il soggetto non sa nemmeno ciò che gli manca. Se lo sapesse, si ingegnerebbe per ottenerlo o per piangerlo, e non si annoierebbe più.
Abbiamo detto che l’oggetto non è un elemento esterno alla pulsione, qualcosa che vi si aggreghi, ma una componente fondamentale della pulsione stessa. Che la posizione-oggetto è comunque parte costitutiva di Trieb. Con la noia quindi la pulsione risulta mutilata, una pulsione direi mostruosa.
Freud (1915b) distingue nella pulsione tre dimensioni: il reale, l’economico e il biologico. Il reale separa ciò che interessa da ciò che non interessa; il versante reale è ciò che non interessa. L’economico separa ciò che dà piacere da ciò che non dà piacere. Il biologico separa l’attivo dal passivo. Evidentemente le dimensioni pulsionali implicate nella noia sono il reale e l’economico. La noia riduce il mondo (e il soggetto stesso) a qualcosa che non interessa, insomma a reale puro; e confronta il soggetto con cose che tutte non danno piacere. Il soggetto è sprofondato nel reale spiacevole. Nella noia le opposizioni pulsionali vengono meno, perché solo una delle due opposizioni si manifesta, abbiamo solo disinteresse e dispiacere. In questo modo, la noia rivela un’incombente insensatezza della libido.
Quel che ha lasciato perplessi molti sulla pulsione freudiana è il fatto che essa sia una tensione permanente. Ora, i processi fisiologici hanno alti e bassi, vanno e vengono, oscillano, mentre la pulsione ha una konstante Kraft, una forza costante. Freud ne parla come di flussi di lava, e l’organismo pulsionale è come un vulcano sempre in eruzione, che erutta a ondate che si succedono. Qualcuno ha detto che la teoria della pulsione è in contraddizione con la biologia, e quindi non bisogna prenderla in considerazione; altri, al contrario, hanno sottolineato questo iato proprio per emanciparla da ogni riferimento di tipo biologico, per fare della pulsione qualcosa di “soggettivo”, insomma di spirituale. Del resto Freud stesso aveva detto che la dottrina delle pulsioni “è la nostra mitologia” (Freud 1932a; Freud 1932b). Ora, questo carattere “mitico” di non-intermittenza della pulsione – che contrasta con la nostra percezione soggettiva dei nostri impulsi – può significare una cosa sola: che la pulsione coincide con una tensione che, benché spezzettata in varie “ondate di lava”, si sovrappone interamente all’esser vivi. Finché siamo vivi, siamo esseri pulsionali; ed essere enti pulsionali è essere vivi. La forza costante è quella della vita che non cessa di disturbarci, che non cessa di metterci alla ricerca di guai grazie ai quali possiamo confessare di aver vissuto.
E’ notevole che lo stesso Lacan – che pure si sofferma a lungo sulla struttura articolata della pulsione, e la considera un “montaggio” – poi, quando passa a parlare di libido, dice:
“E’ la libido, in quanto puro istinto di vita cioè di vita immortale, di vita non reprimibile, di vita che non ha bisogno di alcun organo, di vita semplificata e indistruttibile” (Lacan 1973, p. 180).
Ma questi caratteri direi favolosi della libido sono già nel concetto di pulsione, in quanto tensione costante coestensiva alla vita. Così nella noia si mette a nudo, con gran disappunto del soggetto, questo istinto di vita che non trova nulla per nutrire il soggetto. La libido naufraga di fronte all’ente, che si nega come oggetto oggettuale. Nessun ente seduce la libido.
Lacan, desiderio senza meta
Per rendere chiara la struttura della pulsione, Lacan (1973, p. 163) propone uno schema:
La fonte non è segnata qui, ma corrisponde all’inizio della freccia nella parte destra del bordo in basso, freccia emergente dal buco in cui consiste la zona erogena. (Il termine inglese rim significa bordo.) Egli usa due termini inglesi – aim e goal – per dire quel che Freud esprime con Ziel, meta. Si pensa che la meta della pulsione sia la propria soddisfazione, ma Freud aggiunge “seppure questa meta finale di ogni pulsione rimane invariata, più vie possono condurre alla stessa meta finale; perciò per una pulsione possono darsi molteplici mete prossime o intermedie le quali si combinano o si scambiano tra loro” (Freud 1915a, p. 18). Il fatto che la meta non sia unica, che essa si scaglioni in una serie di mete intermedie, spinge Lacan a interpretare il Ziel come tragitto, percorso, aim. La meta finale, intesa come soddisfazione, goal, è piuttosto indicata da Lacan nello stadio finale del percorso quando la freccia del Drang torna sulla fonte stessa, chiudendo il cerchio. Insomma, la pulsione si soddisfa alla fin fine sempre autoeroticamente: la bocca bacia se stessa, l’occhio guardando soddisfa se stesso… L’oggetto quindi non viene catturato dalla spinta pulsionale, la quale piuttosto gli gira attorno. L’Objekt è quel che permette alla carne di godere di se stessa.
Ora, nella noia l’oggetto a non si fa trovare all’appuntamento, la freccia pulsionale non può girargli attorno e quindi non può nemmeno raggiungere il proprio goal. E dove va a finire? Non essendo indirizzata all’oggetto, la spinta pulsionale perde anche il suo aim e sembra fuggire verso l’infinito, alla ricerca disperata di un oggetto sperato. Il sentimento della noia è questa percezione di fuga della spinta pulsionale che non torna al corpo e alla mente del soggetto. Quando Heidegger diceva che nella noia c’è l’essere-lasciati-vuoti e l’essere-tenuti-in-sospeso, sembrava indicare proprio questo: il soggetto è lasciato vuoto dalla pulsione che non torna all’ovile direi, ovvero al soggetto stesso, ed è tenuto in sospeso in quanto la pulsione certo non si azzera, ma sembra promettere qualcosa nell’allontanamento dal soggetto. Grazie alla noia, l’essere umano è in grado di percepire la spinta libidica in quanto tale, allo stato puro. Leopardi aveva scritto “La noia è il desiderio di felicità allo stato puro”; lo potremmo sottoscrivere: la noia è desiderio. Più che “di felicità” direi desiderio “di soddisfazione”.
Lo psicoanalista Adam Phillips (1993) scrisse “l’umore di irrequietezza diffusa [nella noia] contiene la voglia più assurda e paradossale, la voglia di un desiderio”. Ma io direi che la noia irrequieta è desiderio senza voglia, un desiderare a folle direi – come gira a folle la frizione – in cui il soggetto non può implicarsi. Perché il desiderio (libido) può non avere oggetto alcuno, mentre si ha sempre voglia di qualche cosa.
La noia di solito non fa piangere, fa sbadigliare. In effetti, nel pianto si estingue la noia. Quando raggiungiamo il fondo piangendo, la noia si muta in disperazione, che ci consola facendo del nostro dolore uno spettacolo drammatico che ci distrae.
Al di là dei meccanismi cerebrali che legano tedio e sbadiglio, non possiamo non rilevare la portata simbolica di questo ultimo: la coazione a spalancare la bocca appare una rappresentazione ideografica del desiderio elementare, quello orale, il desiderio di mangiare. E non a caso si sbadiglia anche per fame. Lo sbadiglio è bouche béante, bocca beante, ovvero aperta, come è “beante” ogni desiderio.
Nella noia la pulsione non raggiunge la propria meta; non potendo tornare sulla sorgente, sul bordo erogeno, perde anche la sorgente, che risulta allora diffusa, “beanza” pura. Nella noia la pulsione si riduce a pura spinta, Drang. Spinta verso nulla. La noia è come il tapis roulant, quella pedana mobile che ci obbliga a camminare o a correre, ma grazie a cui restiamo sempre nello stesso posto.
Freud diceva che dalla pulsione, proveniente dall’interno, non c’è possibilità di fuga. Si possono fuggire stimoli esterni, non interni. La noia mostra appunto che non c’è fuga dalla pulsione, essa è pietrificazione di fronte alle pulsioni.
Heidegger diceva che nella noia l’ente si nega nella sua totalità, e ci potremmo chiedere perché “nella sua totalità”; dopo tutto, l’annoiato può sempre sperare che qualche ente salti fuori e lo tiri fuori dalla noia. In realtà questo rifiuto è totale perché l’annoiato nel fondo sa che nessun ente potrà mai essere oggetto pulsionale. Per cui Heidegger può dire:
“La noia profonda, che va e viene nelle profondità dell’esserci come una nebbia silenziosa, accomuna tutte le cose, tutti gli uomini, e con loro noi stessi in una strana indifferenza. Questa noia rivela l’ente nella sua totalità.”
(Heidegger 1987, p. 66)
E aggiunge che questa rivelazione della totalità dell’ente accade anche in un’altra situazione affettiva: nella gioia di avere accanto l’esser-ci (Dasein) della persona amata. In una situazione che potremmo considerare l’inverso della noia.
La noia, la gioia amorosa: in entrambi i casi siamo di fronte all’ente nella sua totalità. Diciamo che nella noia siamo come schiacciati dall’ente in tutto il suo spessore. Invece con Angst, angoscia (che non è paura né ansia) l’esser-ci (Dasein) è messo di fronte al nulla.
In effetti, c’è una noia cosmica, che può anche non essere attuale ma piega della vita, un suo rumore di fondo – vanitas vanitatum, “la vanità di tutte le cose”. E’ vedere il mondo, la vita, come inane ripetizione o successione a causa di meccanismi. E’ il tedio di vedere la vita scandita da fasi biologiche: la volubile agitazione dell’infanzia, la febbre erotica della giovinezza adulta, l’accigliata preoccupazione della maturità, la svogliatezza e l’albagia della vecchiaia. Il ripetersi monotono delle stagioni e il succedersi fatale delle generazioni, l’amore come semplice macchina per riprodurre geni, l’insensata complessità del cosmo… Insomma, la noia dello sguardo oggettivo sul mondo e sulla vita. Non che lo scienziato vero si annoi, tutt’altro. Parlo di sguardo oggettivo sulla vita tutta, non del piacere di fare scienza. Si può godere della ricerca dell’oggettività, ma si soffre la noia quando si è oggettivi di fronte a tutto, senza ricerca della verità. In effetti lo sguardo oggettivo considera ogni cosa come Gegenstand e non come Objekt; ma il Gegenstand come tale non ha alcun valore soggettivo, è l’ente in quanto è ente e basta e non ci “dice” nulla. Il mondo oggettivo è un mondo odioso; o per lo meno antipatico. Quando Heidegger dice che la noia è sentimento fondamentale oggi, lo dice forse perché viviamo nell’età della scienza e dell’oggettività: in un’epoca in cui il mondo non ci implica più.
Per Heidegger la noia è il sentimento fondamentale forse perché è nell’essenza dell’ente di rifiutarsi all’esser-ci, al soggetto. L’ente si dà a noi solo come Objekt e Ziel, come oggetto di desiderio e come meta, in quanto diventa insomma oggetto-per-me. L’ente deve vestirsi da oggetto pulsionale per non rifiutarsi, ovvero per farsi aggirare dalla pulsione, che in un certo senso lo abbraccia sempre. Nella noia, l’ente non si lascia abbracciare dalla spinta (Drang) pulsionale.
Continua…
[1] Per molti quello di pulsione è il concetto fondamentale di Freud. Vedi Nancy (2011).
[2] Più tardi però Freud farà della pulsione di distruzione una pulsione fondamentale, in quanto manifestazione della pulsione di morte. La pulsione di socialità manifesterà invece un’altra pulsione fondamentale, Eros, pulsione di vita.
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Per chi desiderasse approfondire gli argomenti affrontati nell’incontro, di seguito alcuni link ai quali poter accedere:
- Cristiana Cimino – Che cos’è la noia? Recensione a “Noia” – Edizioni Grenelle http://www.doppiozero.com/
materiali/che-cose-la-noia